Mancano infermieri che vadano nelle case: aumentano i bimbi disabili senza assistenza

La Fondazione Maddalena Grassi all’Ats: «Non riusciamo a rispondere alle richieste di famiglie e ospedali»

La pandemia sta facendo pagare un prezzo alto ai bambini disabili

La pandemia sta facendo pagare un prezzo alto ai bambini disabili

Ancora una volta la pandemia fa pagare il prezzo più alto ai disabili e alle loro famiglie. Ancora una volta la coperta si scopre corta. E una volta tirata, finisce che siano loro a rimanere senza. «Siamo costretti a dire di no a molte famiglie che ci chiamano perché hanno bisogno», fa sapere, suo malgrado, Maurizio Marzegalli, vicepresidente della Fondazione Maddalena Grassi e responsabile di un servizio più unico che raro a Milano come nel resto del Paese: l’assistenza domiciliare ai bambini con disabilità grave e gravissima. È proprio alle famiglie di questi bambini che la Fondazione non riesce più a rispondere come ha sempre fatto in trent’anni di esperienza. Anzi, aggiunge Marzegalli, «oggi come oggi non riusciamo a garantire un’assistenza completa neanche a quanti abbiamo già preso in carico». 

A rallentare e complicare l’opera della Fondazione è la carenza di infermieri professionali che possano andare nelle case dei bambini. Una carenza indotta dalla pandemia che, in aggiunta, ha acuito alcuni limiti del sistema dell’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) messo a punto in questi anni dalla Regione Lombardia e dalle Agenzie di Tutela della Salute (ATS), come spiegato da Marzegalli nella lettera appena inviata proprio all’ATS della Città Metropolitana di Milano. Una lettera che si conclude con la speranza di un «necessario, atteso e solerte riscontro». E un riscontro c’è già stato: lunedì si terrà un incontro tra la Fondazione e la direzione generale Welfare della Regione. «La domanda di infermieri è cresciuta sensibilmente negli ultimi mesi a causa dell’emergenza Coronavirus – spiega Marzegalli –. Alcuni ospedali hanno rispolverato graduatorie di qualche anno fa e le hanno rese operative per arruolare infermieri da destinare ai reparti, alla campagna vaccinale e ai tamponi». Senza contare che «a partire dagli ultimi mesi del 2020 si sono via via riaperti i concorsi». 

Problema nel problema, a incentivare la scelta di altri percorsi professionali da parte degli infermieri è l’entità della retribuzione riconosciuta a quanti fanno assistenza domiciliare ai minori con disabilità, più bassa di quella garantita negli ospedali anche a fronte di un lavoro talvolta decisamente meno impegnativo. Esiste, infatti, anche un problema di «burn out» del personale infermieristico dedicato all’ADI. Il vicepresidente della Fondazione Maddalena Grassi ricorre proprio a questo termine. E spiega: «In alcuni casi l’assistenza assorbe non solo parecchio tempo ma anche parecchie energie emotive. Capita che l’infermiere soffra insieme al bambino. Capita che non riesca a prendere in carico un minore subito dopo averne assistito e lasciato un altro. E questo incide, a sua volta, sulla turnazione e sulla disponibilità degli operatori». Un fattore non congiunturale, questo. Ma che, unito all’aumento della domanda indotto dalla pandemia, rende ancor più difficile avere il numero di infermieri necessario a far fronte al bisogno delle famiglie. 

Tutto riportato nella lettera inviata da Marzegalli all’Ats: «Nell’ultimo anno, anche a causa della pandemia in corso, si è determinata una situazione oggettivamente critica con un significativo aggravio dei carichi di lavoro ed una sostanziale difficoltà di reperimento di risorse umane qualificate. La situazione, infatti, evidenzia una carenza del personale infermieristico specializzato per una carenza di figure professionali, per burn out delle medesime e per un mercato altamente competitivo, caratterizzato in particolare dalla parte pubblica che remunera attività vaccinali e tamponi a prezzi non competitivi con gli accessi domiciliari e che rende difficilissimo reperire sul mercato personale infermieristico specializzato». La Fondazione ora può contare solo su 10 infermieri, 5 dei quali part-time, a fronte di 86 minori da seguire. «Ne servirebbero altri 4 o 5 a tempo pieno» spiega Marzegalli. Anche perché durante l’anno il numero degli assistiti può salire. «Nell’arco dei 12 mesi oscilliamo tra gli 80 e i 100 bimbi». Da qui il monito: «Il contesto descritto – si legge nella missiva –, a breve, potrebbe non permettere il naturale turn over con un conseguente, inevitabile quanto non voluto impatto sul servizio. I nostri pazienti non possono essere gestiti a domicilio senza l’ausilio di numerose ore giornaliere di assistenza infermieristica specialistica. Inoltre – si rimarca –, da più di 6 mesi non siamo purtroppo più in grado di soddisfare le richieste di presa in carico che ci giungono sia dalle famiglie che dagli ospedali, che conseguentemente rimangono, nostro malgrado, senza un’assistenza adeguata». 

Come possono intervenire Regione e Ats? Innanzitutto separando l’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) per gli adulti da quella per i minori e aumentando le risorse riconosciute alla seconda a titolo di rimborso delle prestazioni garantite. «Oggi sono entrambe in un unico calderone – nota Marzegalli –. È necessario, invece, un incremento del budget dedicato all’assistenza dei minori gravi e gravissimi e tariffe dedicate che riconoscano la specificità del servizio». Di fatto succede che i rimborsi preventivati dalla Regione non siano quasi mai sufficienti a coprire il volume di prestazioni effettivamente garantite per l’assistenza domiciliare dei minori e gli enti non hanno dunque la possibilità di attrarre infermieri e personale. «Nel 2020 la Fondazione ha garantito prestazioni ai minori per un totale di 627mila euro. Per quanto riguarda l’ADI nel suo complesso, lo sforamento rispetto al budget preventivato a inizio anno è stato di 300mila euro. Soldi, questi, che vengono corrisposti ex post dalla Regione quasi interamente» spiega Marzagalli. «Occorre – si propone nella lettera – prevedere una sezione dedicata all’ADI minori con una specifica retribuzione» perché qui «le prestazioni sono più complesse». L’altro versante è l’aiuto alle famiglie, attraverso il riconoscimento delle figura dell’Assistente Famigliare e di operatori socio–sanitari esperti in certe procedure. Perché quando si ha a che fare con minori con disabilità gravi e gravissime, i volontari non possono essere una risorsa, servono competenze.

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