MARIANNA VAZZANA
Cronaca

"Noi, madri musulmane a San Siro dobbiamo stare attente ai nostri figli"

Dopo la cattura del colonnello Isis in Libia, le donne che vivono nel quartiere dove viveva fino al 1997 il terrorista, confessano di avere paura: "Qui potrebbe nascondersi chiunque"

Il palazzo di via Paravia 84 dove viveva "Abu Nassim"

Milano, 19 agosto 2016 - La strada è deserta, in un pomeriggio assolato d’agosto. Davanti al cancello sempre aperto (la serratura è rotta) del palazzone Aler di via Paravia 84 compare solo un gruppo di donne velate. Con loro c’è una ragazzina dai capelli “liberi”, raccolti in una coda. Hanno in mano sacchetti della spesa, ridono, abbracciano un’amica che è tornata a Milano per qualche giorno dalla Francia. Abitava anche lei in via Paravia. "Avete mai visto quest’uomo?", la prima domanda. Guardano una foto su un cellulare: c’è il volto di Moez Ben Abdulgader Ben Ahmed Al Fezzani, detto Abu Nassim. Importante pedina dello scacchiere terrorista dell’Isis, noto in Italia per i suoi trascorsi da reclutatore jihadista, è stato catturato in Libia.

Fino al 1997 viveva in un alloggio di quel caseggiato in zona San Siro. Sette scale in cui i nomi delle famiglie italiane si mescolano a quelli di nuclei stranieri, la maggioranza. Tutte scuotono la testa. "Mai visto". C’è solo una donna italiana che si ricorda di lui. Un uomo schivo, non dava problemi ma stava sempre sulle sue. Stop. E poi? "Qui non c’è da quasi vent’anni".

Ma il suo nome ora viene pronunciato di nuovo. "L’abbiamo visto in tivù. Se abitava qui, siamo un po’ preoccupate". Perché? "In queste case, nel quartiere, potrebbe nascondersi chiunque. Basta guardare i cancelli: sempre aperti. Di recente le forze dell’ordine hanno rintracciato un rom latitante, con una sfilza di precedenti". Karima, 53 anni, è arrivata in via Paravia 84 dalla Tunisia quando era una ragazza. "Sono stata la prima donna velata del palazzo. Ora siamo in tante", dice. Ha due figlie nate a Milano, di 14 e 26 anni, vive facendo pulizie mentre suo marito è magazziniere in un’industria di patatine.

Accanto a lei c’è Bushra, marocchina. "Abbiamo paura, soprattutto per i nostri ragazzi", sussurra. Mamma anche lei, ha una figlia di 17 e un maschio di 14. Si spiega meglio: "Non voglio che frequentino cattive compagnie, in generale. Il pericolo corre non solo in strada ma anche sui social network. La situazione può sfuggire facilmente di mano: bisogna parlare coi propri figli, seguirli di più se manifestano atteggiamenti scostanti. Questo vale non solo per i musulmani".

Abitava nello stesso quartiere, in via Civitali con la famiglia (la sua compagna era italiana) Mohamed Game, che a ottobre 2009 cercò di farsi saltare in aria davanti alla Caserma di piazzale Perrucchetti. Era riuscito a fabbricare un ordigno di quasi 5 chili con nitrato d’ammonio, fertilizzanti e altri acidi. Un complice gli aveva messo a disposizione un appartamento in via Gulli, vicino alla caserma, diventato laboratorio segreto. "Bisogna tenere gli occhi aperti - concludono le donne - e segnalare sempre se notiamo qualcosa di sospetto".