Società di Armani sotto tutela giudiziaria per caporalato: ecco cosa è successo e dove

I pm di Milano: borse e cinture prodotte in opifici con manodopera sfruttata. Il colosso del made in Italy: "Collaboriamo con trasparenza".

Un magazzino sartoriale: i lavoratori erano costretti a lavorare a ritmi forsennati

Un magazzino sartoriale: i lavoratori erano costretti a lavorare a ritmi forsennati

Borse e cinture finivano nelle boutique d’alta moda, prodotti d’eccellenza del Made in Italy firmati Giorgio Armani realizzati attraverso subappalti in laboratori-dormitorio nel Milanese e in provincia di Bergamo, da operai cinesi "sottoposti a ritmi di lavoro massacranti" per "produrre volumi di decine di migliaia di pezzi, a prezzi totalmente sotto soglia" con l’obiettivo di massimizzare i profitti ed "eliminare la concorrenza". Paghe "anche di 2/3 euro orarie, tali da essere giudicate sotto il minimo etico", per attività che andavano avanti anche "per oltre 14 ore al giorno, anche nei festivi". Lavoratori-fantasma, che sparivano quando scattavano sopralluoghi, caporalato e situazioni caratterizzate da "pericolo per la sicurezza" e "condizioni alloggiative degradanti" per chi era costretto a dormire negli stessi opifici dove lavorava durante il giorno, a una manciata di chilometri dalle luci del Quadrilatero della moda.

È il quadro che emerge, attraverso le indagini dei carabinieri del Nucleo ispettorato del lavoro e le testimonianze messe a verbale, dal decreto con cui il Tribunale di Milano ha sottoposto la Giorgio Armani Operations Spa alla misura di prevenzione dell’amministrazione giudiziaria. La società con circa 1.200 dipendenti controllata dal colosso della moda (non indagata, mentre sono accusati di caporalato quattro titolari di aziende cinesi), che si occupa di progettazione e produzione di abbigliamento e accessori, secondo il Tribunale "non ha mai effettivamente controllato la catena produttiva verificando la reale capacità imprenditoriale delle società con le quali stipulare i contratti di fornitura" e sarebbe rimasta "inerte pur venendo a conoscenza delle esternalizzazioni di produzioni da parte delle società fornitrici" nella filiera dei subappalti.

Non si tratta di "fatti episodici" ma di un "sistema di produzione generalizzato e consolidato" che riguarda diverse "categorie di beni", come borse e cinture, e che "si ripete, quantomeno dal 2017 sino ai più recenti accertamenti dello scorso febbraio" che hanno consentito di recuperare anche un "registro del nero". Sulla base degli elementi emersi dalle indagini coordinate dai pm Paolo Storari e Luisa Baima Bollone il Tribunale, presieduto da Fabio Roia, ha nominato quindi un amministratore giudiziario, Piero Antonio Capitini, che per un anno affiancherà i vertici (che restano al loro posto) con l’obiettivo di arrivare a "un programma di riqualificazione degli assetti organizzativi interni" per prevenire altri illeciti. L’iter avverrà infatti "senza impossessamento degli organi amministrativi, consentendo quindi alla società la piena operatività sul piano imprenditoriale". "La Giorgio Armani Operations – si legge in una nota del gruppo – collaborerà con la massima trasparenza con gli organi competenti per chiarire la propria posizione. La società ha da sempre in atto misure di controllo e di prevenzione atte a minimizzare il rischio di abusi nella catena di fornitura".

Uno "schema" che secondo gli inquirenti sarebbe però diffuso tra le case di moda. A gennaio il primo caso, quando era scattata l’amministrazione giudiziaria per un’altra griffe, la Alviero Martini Spa, per contestazioni simili a quelle che hanno portato al provvedimento eseguito ieri nei confronti della Giorgio Armani Operations Spa. E il faro della procura potrebbe accendersi anche su altri big. Un laboratorio clandestino poteva vendere all’intermediario-fornitore una borsa finita a poco più di 90 euro, che poi arrivava in negozio col marchio Armani a 1.800 euro.

"Seppur assunta formalmente per 4 ore giornaliere – ha spiegato una lavoratrice – in realtà lavoro per 10 ore giornaliere dal lunedì al sabato". Un operaio ha raccontato di essere pagato a cottimo "da 0,50 a 1 euro al pezzo". Agli atti pure il verbale di un addetto al controllo qualità per la Armani Operations, che andava mensilmente in uno dei capannoni-dormitorio. E ha raccontato che Manifatture Lombarde srl, società appaltatrice dei lavori Armani, "non ha un reparto produzione" e non potendo "evadere le commesse" esternalizzava le lavorazioni ai cinesi.

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