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Cronaca

Lorenza e l’osteoporosi per le cure oncologiche: dopo la segnalazione, la visita di marzo 2024 anticipata al 16 novembre

Milano, la giovane convive con una grave osteoporosi e le serve un farmaco entro dicembre. Settimana scorsa le avevano dato appuntamento a marzo, ora la svolta

Infermieri al lavoro
Infermieri al lavoro

Lorenza non dovrà aspettare fino a marzo del 2024 per essere visitata e poter proseguire il proprio percorso di cura col servizio sanitario pubblico. Contrariamente a quanto le era stato comunicato nei giorni scorsi, un posto si è trovato o, meglio, l’ospedale Gaetano Pini lo ha infine trovato: il 16 novembre è attesa in ambulatorio di reumatologia. Resta, però, il tema del quale questa vicenda è spia: la mancanza, in alcuni casi, delle condizioni di sistema che possano garantire al paziente la continuità della presa in carico una volta concluso un protocollo terapeutico in un istituto specialistico. Un aspetto che approfondiamo con Filippo De Braud, ordinario di Oncologia Medica all’Università Statale di Milano e direttore del dipartimento di Oncologia e Ematoncologia dell’Istituto Nazionale dei Tumori, l’istituto in cui Lorenza ha seguito il protocollo terapeutico senza alcun problema. Il problema si è presentato dopo.

L’antefatto, allora: come riportato su queste pagine il 28 ottobre, Lorenza convive con una grave osteoporosi dovuta alle terapie oncologiche alle quali si è dovuta sottoporre negli anni scorsi. L’osteoporosi le è stata provocata, per l’esattezza, dal letrozolo, un inibitore utilizzato nel trattamento dei tumori al seno. Per questo dal 2018 è stata presa in cura dal reparto dell’Istituto Nazionale dei Tumori che studia il metabolismo dell’osso nei malati oncologici. Il 13 ottobre, durante un controllo, è emerso che la condizione delle sue vertebre era peggiorata. Da qui la necessità di una nuova inoculazione del Prolia, un farmaco che ha un costo elevato, può essere somministrato solo in ambiente protetto e ha l’effetto di cementificare l’osso, di ridurne porosità e friabilità. Perché possa sortire i suoi effetti è importante che sia somministrato a cadenza definita: in questo caso la scadenza è dicembre. Da qui il tema generale.

Finora Lorenza ha potuto assumere il Prolia all’Istituto Nazionale dei Tumori, nell’ambito di un protocollo terapeutico che prevede, però, un tetto alle somministrazioni a prescindere dagli effetti che hanno sul paziente. Una volta esaurito questo tetto, il paziente che avesse ancora bisogno del farmaco deve ricominciare da capo l’iter della presa in carico per ottenerne la prescrizione. Ed è quello che è accaduto a Lorenza: una volta terminato il protocollo e constatata l’oggettiva impossibilità dell’Istituto di via Venezian di poterlo portare avanti, ha dovuto cercare una reumatologia che le fissasse una visita, le prescrivesse il Prolia e si occupasse della somministrazione. Risultato: al Pini, settimana scorsa, le è stato detto che la prima data utile era marzo 2024, all’ospedale San Raffaele a febbraio 2025. Tardi per la sua osteoporosi. Dopo la segnalazione, la svolta: visita il 16 novembre al Pini.

«La cura della patologia – spiega De Braud – è in capo alle strutture iperspecialistiche come l’Istituto Nazionale dei Tumori. La gestione e il monitoraggio devono essere in capo alla medicina di base. Il passaggio dall’uno all’altro livello talvolta può non essere fluido e, quindi, si pone un tema di continuità della presa in carico, come nel caso in questione. Perché questo non accada è necessario che le Case di Comunità siano messe il prima possibile nelle condizioni di poter lavorare secondo la propria missione istitutiva: per un’inoculazione di un farmaco, una volta finito un protocollo, non deve esser necessario andare in ospedale, ma si può e si deve poter fare in una Casa di Comunità o dal medico di base. Oggi i pazienti oncologici per fortuna vivono più a lungo, mentre gli ospedali devono gestire sempre le stesse risorse: a maggior ragione è necessario sgravarli dal follow-up. O dar loro la possibilità di stringere accordi con altri centri ai quali affidare pazienti. In questo caso, ad esempio, accordi con centri focalizzati sull’osteoporosi. Non a caso l’Ats incoraggia sempre più spesso queste sinergie. Più in generale – conclude De Braud – è auspicabile rivedere il sistema delle priorità per evitare che pazienti che hanno bisogno di esami diagnostici siano in concorrenza con chi ha necessità di screening. E in modo del tutto speculare bisogna separare i luoghi di cura".

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