SIMONA BALLATORE
Cronaca

Liliana Segre e la laurea honoris causa, il rettore Franzini: “Una vita spesa per la memoria, la Statale si rispecchia in lei”

Il numero uno dell’università milanese e il riconoscimento alla senatrice a vita: “Ricordare la Shoah è un dovere di noi tutti”

Elio Franzini consegna la laurea honoris causa a Liliana Segre

Elio Franzini consegna la laurea honoris causa a Liliana Segre

Milano – “La risposta degli studenti è stata commovente: appena hanno saputo della laurea honoris causa alla senatrice Liliana Segre in tantissimi si sono prenotati, vogliono esserci. I 700 posti disponibili si sono riempiti in due ore". Elio Franzini, rettore dell’università Statale di Milano e presidente del Coordinamento dei rettori lombardi, non nasconde l’emozione per la cerimonia di sabato 27 gennaio.

L’Alma Mater di Bologna ha laureato la senatrice Segre in Scienze filosofiche, la Lumsa di Roma in Relazioni internazionali, l’Università della Basilicata in Storia e civiltà europee. Tocca alla sua Milano.

"Con il dipartimento di Scienze storiche avevamo chiesto l’autorizzazione al Ministero un paio di anni fa. E cercavamo l’occasione per renderla pubblica. Abbiamo chiesto alla senatrice Liliana Segre la sua disponibilità nella giornata della Memoria e in un anno importante per la Statale, che compie cent’anni. Lei ha generosamente accolto la nostra proposta e la risposta è stata impressionante: per partecipare alla cerimonia abbiamo una lista d’attesa del 30%. E siamo contenti per la decisione del prefetto di consegnare qui le medaglie d’oro per le vittime del nazifascismo".

Una laurea che coincide con un periodo storico complicato: vuole essere un segnale?

"L’università è più forte dell’odio. Siamo attenti alla storia e a quanto accade nel mondo. Ma non possiamo rimanere indifferenti alla memoria. È un momento drammatico, è vero, ma ricordare la Shoah è un dovere di noi tutti. Lo facciamo con una persona come Liliana Segre, che ha dato la sua vita per la memoria. Laurea in Scienze storiche più meritata della sua non poteva esserci".

Anche per il suo impegno nelle scuole.

"Ed è straordinaria. Ogni volta racconta qualcosa di nuovo, non si ripete mai. Molti docenti hanno chiesto di portare i figli piccoli sabato, sarà un momento corale".

Critiche ne sono arrivate?

"Sulla laurea nessuna, e non avrebbero senso. Ma in questo periodo storico ’polarizzante’ non è scontato. Ribadiamo con forza che il compito dell’università è la conservazione della memoria per cercare di fare capire che guerre e persecuzioni sono sempre da condannare. Su quanto sta succedendo a Gaza il dibattito non è mancato anche in università ed è giusto così, ma si è mantenuto entro i limiti della legalità. Sono state portate anche mozioni in Senato accademico e devo dire che è prevalsa la linea della Crui: invitare all’accordo tra le parti e far capire che l’università è luogo di unione e non di divisione, senza censure. Far tacere le voce dell’università vuol dire fare tacere il libero pensiero".

Per i cent’anni la Statale non dimentica gli anni più bui.

"Nasciamo quasi in contemporanea con il Regime, ma siamo pur sempre l’università di Piero Martinetti, uno dei 12 professori che rifiutò di giurare fedeltà al fascismo, e di Antonio Banfi. Abbiamo allestito una mostra sulle leggi razziali dell’università perché credo rappresentino il periodo più vergognoso nella storia del nostro Paese, non possiamo chiudere gli occhi".

Nelle università anglosassoni si sta facendo largo la cancel culture. Comincia a farsi sentire anche nei nostri atenei?

"Questo clima ancora non c’è è mi auguro che la grande parte della vecchia Europa abbia il coraggio di non prendere questa china. Gli studi non possono dimenticare la dimensione della storia. La cultura dell’odio, certi linguaggi, la cancellazione del passato sono qualcosa di assolutamente astratto. Dobbiamo guardare al passato, contestualizzarlo. Non possiamo negarlo: sarebbe antiscientifico".

Cosa possono fare gli atenei?

"Non devono mai dimenticare di essere prima di tutto un luogo di scienza, di ricerca. Facciamo scienza monitorando anche quello che sta succedendo: abbiamo un osservatorio sui linguaggi d’odio. Abbiamo visto anche dai recenti episodi di cronaca il valore e il “peso“ dei social. La forza degli atenei generalisti è che abbiamo informatici, filosofi, giuristi, sociologi che possono in modo coordinato mettere insieme punti di vista, dando una visione anche su aspetti etici, epistemologici dei fenomeni in corso".

C’è una deriva social che la preoccupa?

"Come diceva Umberto Eco, una volta molte stupidaggini si raccontavano tra 10 amici al bar e uno diceva: “Quello è ubriaco“. Adesso lo stesso messaggio, magari fatto da una persona ubriaca, raggiunge centinaia e migliaia di persone. I linguaggi non sono mai asettici, ma anche il veicolo cambia la forza del messaggio. È uno strumento fuori controllo e che si autoalimenta: pericoloso da un punto di vista assoluto, per questo dobbiamo creare maggiore consapevolezza e spirito critico".