L’esercito dei Neet, il 18% dei giovani resta ai margini

Non studiano e non lavorano. A Milano disuguaglianze record e dispersione scolastica

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Non studiano, non lavorano e non stanno seguendo percorsi di formazione. Il 18% dei giovani fra 15 e 29 anni nella Città metropolitana forma l’esercito dei Neet: un tasso altissimo anche nella zona d’Italia che offre le maggiori opportunità occupazionali. Una differenza di quattro punti percentuali rispetto alla media europea, che si aggira sul 14%. La situazione è peggiorata con la pandemia e rischia di aggravarsi nei prossimi anni, tagliando fuori dalla ripresa una larga fetta di giovani che si arrangiano con lavoretti in nero e ritardano l’uscita dalla casa dei genitori. Manca il primo passo verso la costruzione di una vita autonoma ed economicamente indipendente, indispensabile per gettare le basi di una nuova famiglia. "La causa alla base è la disuguaglianza – spiega il demografo Alessandro Rosina – che spinge alcuni quartieri di Milano ai margini. Una città attrattiva ma anche molto competitiva, che esclude una fetta della sua popolazione più giovane. Poi c’è l’alta dispersione scolastica. La scuola è fondamentale, perché interrompere il percorso di studi significa entrare in un tunnel con poche vie d’uscita". Invertire la rotta significa "evitare tensioni sociali che, in questo modo, finirebbero inevitabilmente per esplodere nei prossimi anni".

Lo scenario è quello di un mercato del lavoro milanese con due poli opposti: dalle professioni altamente qualificate al cosiddetto “lavoro povero“, spesso appannaggio di stranieri appena arrivati in Italia che si accontentano di paghe basse e condizioni precarie. Condizioni che tagliano fuori giovani milanesi, a volte figli di immigrati di seconda o terza generazione, che hanno interrotto il loro percorso di studi entrando nell’esercito dei Neet nella città d’Italia con gli stipendi più alti ma anche con il più alto livello di disuguaglianze. La ricchezza si concentra nelle mani di pochi. In termini di reddito medio, secondo una ricerca Uil-Eures, è il capoluogo più benestante d’Italia, con un valore pari a 35.585 euro. Ma la situazione si ribalta considerando l’indice di Gini, un indicatore sintetico che misura il grado di concentrazione dei redditi e che assume valori compresi tra zero (che denota una situazione di completa uguaglianza nella distribuzione reddituale) e uno. A Milano l’indice è pari a 0,54, il più alto d’Italia.

 

 

 

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