
Leopoldo Pirelli nel cantiere del grattacielo che porta il suo nome Lo fece costruire tra il 1956 e il 1961
Milano, 26 gennaio 2017 - Non è stato solo uno dei grandi capitani d’industria, ma anche un protagonista dell’Italia per l’impegno civile e culturale. Un’Italia che, purtroppo, sta scomparendo rapidamente. Leopoldo Pirelli, figlio di Alberto e nipote del senatore Giovanni Battista, fondatore del gruppo industriale, è stato protagonista di quell’alta borghesia capace di coniugare la cultura al denaro. A dieci anni dalla scomparsa la sua figura è descritta nel documentario «Leopoldo Pirelli. Impegno industriale e cultura civile», in onda lunedì prossimo alle 20 su Sky Arte HD e presentato ieri negli spazi di Pirelli HangarBicocca a Milano. Il documentario è costruito attraverso le testimonianze di chi gli ha voluto bene, lo ha conosciuto e ha lavorato con lui.
«Una rappresentazione che allo stesso Leopoldo piacerebbe – ha detto Marco Tronchetti Provera, intervenendo alla proiezione – dove emerge il rispetto per la persona, per il lavoro e per la riservatezza, una sua regola di vita». Hanno ricordato e raccontato il loro rapporto con Pirelli anche Rosellina Archinto, con una poesia, e Vittorio Gregotti. Laureato al Politecnico in ingegneria meccanica entra nell’azienda di famiglia nel ’54 e nel ’65 ne è il presidente. Appassionato di vela, tifoso milanista, Leopoldo Pirelli si è sempre distinto per essere «diverso» dagli altri industriali. Sul finire degli anni Sessanta è stato il primo a comprendere che la classe operaia stava cambiando e che avrebbe avanzato richieste che Pirelli anticipa proponendo a parità di salario 40 ore - anziché 46 - su 5 giorni lavorativi alla settimana, in cambio gli impianti avrebbero lavorato 24 ore al giorno 7 giorni su 7; più una serie di benefici come il part-time per le donne e agevolazioni per chi avesse voluto continuare a studiare.
Il progetto è respinto sia dagli industriali sia dai sindacati, entrambi si sono sentiti scavalcati. Sono i limiti di un’imprenditoria nazionale ancora provinciale che Pirelli mal sopporta. Lui pensa in grande: vuole che gli pneumatici della Bicocca siano i più venduti nel mondo creando fabbriche e comprando i concorrenti. La sua storia finisce quando capisce di non esserci riuscito, quando fallisce la scalata alla tedesca Continental. Ne prende atto e dichiara: «Un imprenditore deve sempre cercare, con tutte le sue forze, di chiudere buoni bilanci. Se non ci riesce una volta, riprovare. Se non ci riesce più volte, andarsene», assumendosi la responsabilità del fallimento dell’operazione e abbandonando la guida dell’azienda. È stato capace di rivoluzioni gentili, come quando in Confindustria fa approvare una riforma dello statuto - detta «Riforma Pirelli» - che ha trasformato radicalmente la politica della confederazione.
Ma la cosa che più rimane di Leopoldo Pirelli è la sua reputazione di assoluta correttezza e onestà: è stato uno dei pochi capitalisti a non essere nemmeno sfiorato da Tangentopoli. Anzi, dichiarò che se avessero voluto le grandi imprese avrebbero potuto estirpare il male della corruzione.