
Ugo
Finetti*
Con la pandemia il venir meno delle sedi di incontro, di dibattito e di confronto ha diffuso, in particolare a livello di metropoli, uno stato di frantumazione e di isolamento. A ciò si aggiunge persino la paura per il contatto e la vicinanza fisica. E nella nostra vita quotidiana incombe così lo spettro della “folla solitaria” in cui il ricorso alla comunicazione frantumata dei “social” diffonde modelli “eterodiretti” incomunicabili e bellicosi, comportamenti di “gruppo” con i suoi “idoli” e il suo “gergo”.
Non è nella natura di Milano. La crescita e la competitività nella nostra città non sono mai state animate da soggetti con spirito di sopraffazione, ma da una collettività con robusto pluralismo e continua dialettica costruttiva. Il socialismo riformista, ad esempio, si è sviluppato fino alla guida cittadina misurandosi con una cultura liberale non reazionaria, ma imprenditorialmente innovativa e un mondo cattolico democratico e socialmente impegnato. A sua volta il comunismo milanese si è distinto dall’”ideologismo” di quello romano e dall’”operaismo” di quello torinese radicandosi con spirito pragmatico e non dogmatico. Le grandi correnti operose non sono monologhi, ma soggetti che alimentano e attingono in un continuo dare e avere. Oggi la città ha di fronte il compito di una “ricostruzione” che richiederà appunto convergenza e non un clima di battibecco saccente e settario. E’ quindi incoraggiante che si moltiplichino i tentativi da parte di centri culturali di dar vita a una rete di “corpi intermedi” che anche attraverso l’uso di “social” facciano incontrare e discutere in un quadro di pluralismo costruttivo.
*Vicepresidente Centro StudiGrande Milano