"Le nostre denunce inascoltate Poi liberazione e fanatismo"

Nando Dalla Chiesa dagli anni ’80 si batteva contro il malaffare a Milano "Quel clima provocò anche suicidi giudiziari. La corruzione? Non è sconfitta"

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"Spiegare Tangentopoli ai giovani è come raccontare un pezzo della storia d’Italia: c’era una volta un Paese molto corrotto, dove l’onestà era la devianza...". Il sociologo e professore dell’Università Statale di Milano Nando Dalla Chiesa ha vissuto quel "Paese corrotto" da protagonista. Nel 1985 - tre anni dopo l’omicidio del padre, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, per mano di Cosa Nostra - fu tra i fondatori del movimento milanese di opinione “Società civile” che riuniva magistrati, giornalisti, docenti universitari e attivisti di associazioni. Denunciava il malaffare nella “Milano da bere”, nel 1993 si candidò a sindaco di una città terremotata dalle inchieste e fu sconfitto al ballottaggio dal leghista Marco Formentini. Ora Dalla Chiesa presiede il comitato Antimafia del Comune di Milano, lavorando fianco a fianco con un altro protagonista di quegli anni, l’ex magistrato Gherardo Colombo, a capo del comitato per la Legalità e la Trasparenza.

Che clima si respirava in quegli anni?

"Era come se una parte dell’opinione pubblica aspettasse solo di vedere colpiti i potenti e la classe dirigente. Non ci fu sconcerto, ma piuttosto un senso di liberazione. Dall’arresto di Mario Chiesa in avanti si respirava un’ostilità fortissima nei confronti del ceto politico soprattutto a Milano, Tangentopoli. C’era anche una certa dose di fanatismo. Gridare “Viva Di Pietro” era come purificarsi per quello che era stato fatto negli anni precedenti".

Che eredità lascia l’inchiesta Mani pulite?

"Resta la memoria e l’insegnamento, anche se la corruzione non è certo sconfitta. In questi anni l’amministrazione comunale di Milano ha attuato procedure virtuose, è determinata a riconoscere la presenza della mafia in città e si è dotata di strumenti, non solo simbolici, per combatterla".

Alle inchieste sono legate anche tragedie personali e umane. Lei in quegli anni pubblicò uno studio sui suicidi, dentro e fuori dal carcere.

"All’epoca ero deputato, e mi aveva colpito il fenomeno dei suicidi giudiziari, che avvenivano non tanto dentro il carcere ma fuori, spesso quando l’imputato era già stato prosciolto. Più che un effetto delle inchieste è un fenomeno connesso al clima generale che si respirava all’epoca".

Andrea Gianni

Arnaldo Liguori

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