Le mascherine che nascono dietro le sbarre

Nelle prigioni zambiane anche chi è stato privato della libertà ha deciso di rendersi utile, confezionando mascherine. L’idea è venuta a Celim Onlus, all’inizio dell’emergenza sanitaria. Come da noi, anche in Zambia è stato imposto alla popolazione di indossare mascherine nei luoghi pubblici, e l’obbligo è stato esteso agli agenti di polizia dei penitenziari e ai detenuti. "Le carceri zambiane sono le peggiori di tutta l’Africa, complice il sovraffollamento e la mancanza di servizi medici di base e di medicine", spiega Andrea Campoleoni, presidente di Celim, "Perciò il nostro personale, che dal 2016 lavora nei centri detentivi del Paese, ha preso accordi per produrre mascherine nelle carceri".

L’attività è partita subito, grazie alla conversione dei laboratori di sartoria che erano già stati allestiti. "Con le macchine da cucire che gli abbiamo fornito", continua Andrea Campoleoni, "I detenuti stanno confezionando le mascherine. Per ora ne sono state prodotte 4.500. Le prime verranno destinate ai carcerati e alle guardie, le altre saranno messe in vendita per tutta la comunità". I presidi medici prodotti hanno due strati di tessuto e uno come filtro, così possono essere lavate e riutilizzate. "È un opportunità di riscatto per i carcerati, sia economico che sociale", conclude Campoleoni. Per sostenere gli sforzi dei detenuti zambiani, si può fare una donazione sul sito www.celim.it.

Un’ analoga iniziativa di inclusione lavorativa è partita nei giorni scorsi in Italia e si chiama #Ricuciamo. L’idea è del Ministero della Giustizia, con il supporto di Fca. Lo scopo è fare produrre mascherine a 320 detenuti dei penitenziari di Bollate, Rebibbia e Salerno. I dispositivi creati andranno prima ai detenuti e al personale, le eccedenze saranno distribuite in tutta Italia.L.D’A.

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