
MILANO
La Procura accende un faro sulla relazione depositata dalle psicologhe di parte che hanno condotto i colloqui in carcere con Alessia Pifferi, la 37enne accusata di omicidio pluriaggravato per avere lasciato morire la piccola Diana di 18 mesi. Per le due psicologhe si profila, in procedimento parallelo, la contestazione di un duplice reato: falso ideologico e favoreggiamento. Stando a quanto sostenuto dal pm Francesco De Tommasi nell’udienza in Assise, Pifferi in carcere sarebbe stata sottoposta a un test psicologico "non autorizzato", quello che ne avrebbe accertato un deficit cognitivo e un quoziante intellettivo pari a quello di una bambina di sette anni.
Ad oggi, sempre secondo De Tommasi, sarebbe difficile ripercorrere le dichiarazioni rilasciate in cella alle due psicologhe, dalla mamma assassina, perché contrariamente alle norme e anche alle consuetudini giudiziarie, le conversazioni da cui le dottoresse hanno dedotto il deficit non sono mai state registrate, non sono quindi riascoltabili, perché di fatto "non esistono". Si tratterebbe quindi di "accertamenti privi di dignità scientifica", sostiene la procura, non potendo ora essere esclusi dal processo, poiché già depositati ed acquisiti si rende necessario, secondo De Tommasi, sentire in aula le due psicologhe, non più come testimoni però, ma come indagate, anche a loro tutela, nell’eventualità di domande che sottendano un’autoaccusa. Entrambe, comunque, avrebbero già nominato un legale. Sempre secondo il pm i fatti avvenuti a luglio 2022 sarebbero stati "rivisitati" durante il colloquio in carcere: "L’effetto è stato quello di mettere in testa alla mamma killer di non avere alcun tipo di responsabilità per quello che è successo". Alessia Pifferi, in conseguenza di ciò, avrebbe dato una "versione differente dei fatti rispetto a quella più spontanea che aveva fornito nell’immediatezza dei fatti" che le era valsa la immediata convalida da parte del gip.
Anna Giorgi
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