GRAZIA LISSI
Cronaca

La scenografa Parolini: "Così la ruota del destino girerà su quattro secoli"

Da dodici anni collabora con il regista Leo Muscato: "Mi ha insegnato il dialogo. Mi emoziona che migliaia di persone nel mondo vedranno l’opera trasmessa" .

Federica Parolini (seconda da sinistra) alla presentazione de “La forza del destino“

Federica Parolini (seconda da sinistra) alla presentazione de “La forza del destino“

Federica Parolini non è al suo debutto scaligero eppure lo vive come tale. La scenografa firma le scene de “La forza del destino” di Giuseppe Verdi, che aprirà la stagione del Piermarini sabato 7 dicembre, regia di Leo Muscato. Nata a Vimercate, diplomata all’Accademia di Brera, con Muscato collabora dal 2012 e ha firmato, nel 2023, le scene de ”Le zite in galera” sempre per la Scala.

Federica, come vive la vigilia?

"È più travolgente di quanto avessi immaginato. Sono stanca e agitata, ma felice. Quando mi hanno commissionato questo lavoro mi sono tremate le gambe. Mi emoziona, soprattutto, la partecipazione: migliaia di persone in tutto il mondo vedranno l’opera trasmessa, spettatori che normalmente non hanno accesso a questo linguaggio".

È un’opera complicata.

"Con tanti cambi di scena, un dispiego di tecnica; uno spettacolo vorticoso, il tempo per le prove in palco non è mai abbastanza. Il numero di persone coinvolte in scena e fuori è enorme. Nel finale del terzo atto sul palcoscenico sono in 180 circa fra coro, comparse, solisti, senza contare l’orchestra e i tecnici. Fra tutti noi è nata una sinergia che convola in un’unica direzione: lo spettacolo deve accadere. In teatro tutto avviene al momento, ogni sera c’è un pubblico diverso".

Muscato svela che ci sarà un movimento rotatorio.

"Leo e io ci abbiamo ragionato molto: l’impianto stesso scenico è “la ruota del destino”. Un girevole con un cerchio interno di otto metri di diametro e uno esterno di diciotto; come in un piano sequenza il terreno brullo, devastato dalle guerre, mostra ambientazioni diverse. Non sono luoghi naturalistici ma tragici; ogni ambientazione corrisponde a ciò che gli interpreti, il coro cantano in palcoscenico. È il racconto di quattro secoli, più lungo di quello scelto dal libretto voluto da Giuseppe Verdi".

Cosa crede di avere ricevuto da Muscato in questi dodici anni di collaborazione?

"La cosa più bella che mi ha donato è il dialogo. Il nostro lavoro si costruisce insieme: lui è il nostro ammiraglio, ognuno di noi può portare la sua visione del mondo in un confronto continuo. Il dialogo è una zona di fiducia per tutti, costruisce un’identità condivisa che, sotto la guida del regista, diventa lo spettacolo. Leo ha una grandissima umiltà, ascolta con attenzione tutti ma l’ultima parola è la sua. Diciamo sempre ridendo che il teatro è come la famiglia, non è un posto democratico".

Come si approccia a un nuovo lavoro?

"Con una documentazione solida. Ad esempio, questo allestimento de “La forza del destino” attraversa anche la prima guerra mondiale: è stato il primo conflitto bellico testimoniato da centinaia di foto sia di battaglie, sia di soldati al fronte, sia di giovani morti. Abbiamo portato questa documentazione, queste fotografie in palcoscenico".

Perché ha scelto di studiare scenografia?

"Al liceo artistico ho avuto una bravissima professoressa che insegnava lettere e storia dell’arte, con lei trascorrevamo molte ore perché ci appassionava. L’ultimo anno ha tenuto un corso di letteratura facendoci leggere Garcia Lorca, molti autori del Novecento ma anche Shakespeare; mi sono lasciata sedurre dalla drammaturgia e dal teatro. Ho scoperto che la parola letta, recitata ha una potenza che non avevo mai conosciuto prima. Ho pensato d’iscrivermi a un corso di teatro, poi ho cambiato idea e mi sono iscritta a Brera. Gli anni dell’Accademia non mi hanno visto brillare, mi sono diplomata senza gloria: mi sono innamorata del teatro facendo teatro".

Sa che l’opera che andrà in scena non porta bene?

"Così si dice, non so se sia vero. In confidenza le dico che sulla mia cartella di lavoro ho scritto “La forza del delfino”. Non si sa mai".