Sirte, le carte Isis portano in Italia: "Il ruolo del reclutatore a Milano"

Ora è un leader del Califfato, fece proselitismo nel nostro paese

Milizie del governo libico depongono le ultime bandiere nere dell'Isis a Sirte

Milizie del governo libico depongono le ultime bandiere nere dell'Isis a Sirte

Milano, 14 agosto 2016 - Il suo nome spunta nelle carte dell’intelligence libica. Che presto potrebbero finire pure sulla scrivania degli investigatori italiani. Considerato uno dei più potenti capi militari dello Stato islamico, Abu Nassim, all’anagrafe Moez Ben Abdelkader Fezzani, nato a Tunisi il 23 marzo del 1969, è un personaggio tutt’altro che sconosciuto dalle nostre parti. Dentro i nascondigli dei miliziani nella città libica di Sirte alcuni file fanno riferimento proprio a elementi che agiscono nel milanese, tra questi spunta il nome di Abu Nassim. La sua scalata ai vertici del Califfato è partita proprio da Milano alla fine degli anni Ottanta. 

Fezzani inizia con un modestissimo lavoro come manovale e prende casa in affitto in via Paravia, nel popolare quartiere di San Siro. Quell’appartamento al civico 84 diventa quasi subito una «base» di proselitismo per una ventina di combattenti libici, algerini e tunisini, stregati da un predicatore reduce dalla guerra in Bosnia. Fezzani, infaticabile e carismatico, si avvicina all’Islam estremo e da qui inizia il suo lungo percorso che lo porterà a diventare un terrorista ritenuto molto pericoloso.  Finisce al centro di una serie di inchieste giudiziarie, la prima nel 1998 (l’operazione «Ritorno» della Digos con arresti in tutta Italia), con l’accusa di reclutare e inviare combattenti in Afghanistan. Quando scattano le manette, però, di lui si sono già perse le tracce. Dopo l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre del 2001, Fezzani viene catturato dagli americani a Peshawar, in Pakistan, dove nel frattempo si è stabilito con le nuove generalità di Abu Nassim al Tunsi.

Anche dopo il suo rientro in Italia dal carcere cubano di Guantanamo, avvenuto nel 2009 insieme con altri due ex detenuti in base a un accordo governativo Stati Uniti-Italia, riesce a farla franca. Su di lui pende un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal giudice Guido Salvini nel 2007, ma in appello le prove non reggono: assolto, è un ideologo ma non un combattente, la sentenza in estrema sintesi. A questo punto interviene il ministero dell’Interno, che, nonostante Fezzani sia di fatto un uomo libero, ne ordina l’immediata espulsione dal nostro territorio, perché considerato un soggetto pericoloso.  Durante il viaggio in macchina per arrivare a Malpensa, riesce a sfuggire alla polizia lanciandosi dall’auto in corsa. Sembra scomparso nel nulla, ma la polizia lo ritrova qualche tempo dopo a Varese, a casa di un amico. E finalmente le forze dell’ordine possono imbarcarlo su un aereo con destinazione Tunisi. In quell’occasione, gli agenti della Digos gli sentono profetica quella frase, profetica col senno di poi: «Sentirete di nuovo parlare di me». E così è stato.

Dalla Tunisia, infatti, si sarebbe mosso per Siria e Libia, dove ha continuato a portare avanti la Jihad e forse i collegamenti con il nostro Paese. Su questo i controlli dell’Antiterrorismo non si sono mai fermati. Non si è mai smesso di monitorare i collegamenti, i contatti che potrebbe aver mantenuto con alcune cellule italiane. Controlli complessi perché i contatti di una figura apicale come quella di Abu Nassim sono ovviamente sterminati e criptati. Ma per gli investigatori italiani non ci sarebbe mai stato, in realtà, un pericolo reale di attentato nel nostro Paese ispirato da Fezzani.

Allarme alto sì, per gli 007 dei Ros e della Digos, che il nome di Nassim lo hanno visto spuntare, in questi anni, da tante segnalazioni dei servizi segreti. Ora sarà necessario decifrare quei documenti ritrovati nei territori di guerra di Sirte, se e quando arriveranno, e mettere in relazione le informazioni tra le varie intelligence.

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