Riciclaggio ed evasione fiscale, Irene Pivetti rischia il processo al Tribunale di Milano

Chiesto il giudizio per l’ex presidente della Camera in relazione alla compravendita di tre Ferrari così sottratte al Fisco. "Abbiamo chiarito"

L’ex presidente della Camera Irene Pivetti

L’ex presidente della Camera Irene Pivetti

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Evasione fiscale e autoriciclaggio. Rischia di finire a processo l’ex presidente della Camera Irene Pivetti. La Procura ha chiesto il rinvio a giudizio per l’ex esponente della Lega e altre cinque persone nell’ambito dell’inchiesta, chiusa nelle scorse settimane, su una serie di operazioni commerciali sospette, tra cui la compravendita di tre Ferrari Gran Turismo, che sarebbero servite per ripulire soldi illeciti sottratti al Fisco.

A febbraio il Riesame, accogliendo il ricorso del pm Giovanni Tarzia dopo la bocciatura da parte del gip, dispose il sequestro di circa 3,5 milioni di euro a carico dell’ex deputata e di quasi mezzo milione a un suo consulente, Pier Domenico Peirone, che a fine aprile ha già patteggiato un anno e dieci mesi. E si attende la fissazione dell’udienza in Cassazione dopo il ricorso del legale di Pivetti, l’avvocato Filippo Cocco, contro il sequestro disposto nell’indagine del Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf.

Tra gli imputati per i quali il pm ha chiesto il processo figurano anche il pilota di rally ed ex campione di Gran Turismo Leonardo “Leo“ Isolani, la moglie Manuela Mascoli, la figlia di lei Giorgia Giovannelli, il notaio Francesco Maria Trapani e un altro imprenditore, Candido Giuseppe Mancaniello. In "oltre sette ore di interrogatorio" nei giorni scorsi, ha fatto sapere l’avvocato Cocco, Pivetti "ha spiegato e ricostruito correttamente i fatti che le contestano" e "ovviamente dopo una vicenda del genere ci si aspettava la richiesta della Procura, che discuteremo finalmente davanti al gup".

Spetterà al giudice Fabrizio Filice decidere se mandare o meno a processo i sei imputati. Nell’inchiesta viene ipotizzato un ruolo di intermediazione di Only Italia, società riconducibile a Pivetti, in operazioni del 2016 del Team Racing di Isolani, che voleva nascondere al Fisco (con cui aveva un debito di 5 milioni) alcuni beni tra cui le tre Ferrari. Attorno alle tre auto, secondo l’accusa, venne organizzata una finta vendita verso una società cinese. Quelle macchine, però, non sono mai arrivate, si legge negli atti, nella disponibilità dell’acquirente sulla carta, il gruppo cinese Daohe, ma sarebbero state trasferite da Isolani in Spagna, dove tentò di venderle. L’unico bene effettivamente ceduto, cioè passato ai cinesi fu "il logo della Scuderia Isolani abbinato al logo Ferrari". Se lo scopo di Isolani e Mascoli era - per l’accusa - quello di dissimulare la proprietà dei beni e sottrarli all’Erario, "l’obiettivo perseguito da Irene Pivetti" sarebbe stato quello di "acquistare il logo Isolani-Ferrari per cederlo a un prezzo dieci volte superiore al gruppo Dahoe, senza comparire in prima persona".

Attraverso la complessa contrattazione, Isolani e la moglie "simulando la vendita dell’intera scuderia, avrebbero di fatto ceduto soltanto il logo",e Pivetti, per la Procura, avrebbe comprato quel logo a 1,2 milioni di euro per rivenderlo al gruppo cinese a 10 milioni. Gli investigatori, tra l’altro, hanno seguito le tracce di un vorticoso giro di denaro, per oltre 7,5 milioni di euro, con rogatorie anche a Hong Kong.

 

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