
Paolo Rossi
Milano, 29 marzo 2015 - «Milano è al centro del mondo. E’ una città dove anche se non ci vivi, vorresti farlo». Lo racconta l’ex calciatore Paolo Rossi, oggi commentatore sportivo.
Ha esordito nel mondo del calcio da ragazzino, scommetto che i suoi rapporti con Milano sono cominciati abbastanza presto. «Sì, avevo 17 anni quando venni a Milano per la prima volta per la partita Inter-Juventus valevole per la Coppa Italia. L’anno prima ero entrato nelle file dei giovani dei bianconeri. Dopo due anni fui promosso nella prima squadra. Per quel match rimasi in panchina, ma almeno ebbi modo di godermi la bellezza dello Stadio di S. Siro, poi dedicato a Giuseppe Meazza. Lì mi sembrava di vivere in un sogno, ero alla Scala del calcio, purtroppo restai poco in città».
Ma si rifece negli anni seguenti? «Sì, nel capoluogo lombardo raccolsi i frutti delle mie prime affermazioni. Infatti a 20 anni fui scelto per due sponsorizzazioni importanti: la Polenghi Lombardo e la Coca Cola. E in entrambi i casi venni a Milano per firmare i contratti e fare le campagne pubblicitarie. In particolare per la Coca Cola, mi recai negli uffici della multinazionale in Galleria Passerella per formalizzare l’accordo e vigeva l’usanza di far siglare i documenti con una penna d’oro, che poi restava al personaggio che firmava. Io quella penna la conservo ancora».
E poi a Milano è venuto a lavorarci quando passò al Milan. «Sì, era il 1985. Vissi qui per un anno soltanto. Purtroppo la gioia di trasferirmi non coincise con un periodo felice della mia carriera. Ormai stavo quasi per terminare e avevo avuto alcuni infortuni. Inoltre in quegli anni la squadra aveva alcuni problemi societari, il presidente Giussy Farina fu costretto a fare un passo indietro, subentrarono i vicepresidenti Lo Verde e Nardi, ma mancava una guida certa».
Riuscì comunque a giocare? «Sì, quando guarii scesi in campo per due derby contro l’Inter. Nel primo andai in rete per due volte, anche se poi finì in pareggio».
Almeno la vita milanese l’aiutava a pensare ad altro? «Sì, decisi di prendere casa a Milano, nonostante i colleghi preferissero vivere nei dintorni di Milanello. Amavo andare in centro con la mia auto, allora avevo una Mercedes grigia 3000 e parcheggiavo nei dintorni del Duomo. Ormai parliamo di un mondo che non esiste più».
La sua via preferita? «La via Domenichino. Trovai un appartamento al n. 45. Quella strada mi piaceva molto: era comoda per raggiungere l’autostrada e poi era a due passi dalla vecchia Fiera campionaria. La vita da calciatore è ingrata, non ti lascia molto tempo da dedicare agli affetti. Quando potevo stavo in casa e facevamo passeggiate nei dintorni della via Domenichino. Mi resta sempre il ricordo di una zona elegante, discreta, lontana dal traffico. Un particolare simpatico era che con i colleghi che abitavano a Milano ci davamo appuntamento in piazzale Lotto per andare a Milanello usando una sola auto. Di solito mi trovavo con Franco Baresi e Mauro Tassotti. Alcune volte invece mi passava a prendere l’allenatore Nils Liedholm, un autentico signore. Ma a me questa città resta nel cuore anche per Enzo Bearzot».
Vi siete incontrati a Milano? «Sì. Lui abitava in via Crivelli. Avevamo un rapporto meraviglioso. Mi ha insegnato molto. E’ stato lui a insistere con me, a volere che facessi di più. Ho avuto una carriera particolare con tanti alti e bassi e concentrata nell’arco di 8-9 anni in cui ho fatto quello che altri di solito fanno nel doppio del tempo. La vittoria del Mondiale del 1982, il titolo di capocannoniere e il pallone d’oro. Dopo il trionfo contro la Germania dell’11 luglio mi chiesi: cosa posso vincere ora? Questi ricordi addolciscono l’amarezza di aver concluso il mio percorso non al massimo della forma. In seguito ogni volta che c’era qualche iniziativa a Milano invitavo sempre Bearzot e il Mister accettava perché diceva “A Pablito non posso dire di no”».
E ora di cosa si occupa? «Gestisco un agriturismo a Bùcine in provincia di Arezzo e produco vino e olio con la mia attuale moglie Federica. Abbiamo due bambine. Inoltre ho aperto un’accademia del calcio per ragazzi, la “Paolo Rossi Academy” a Perugia per allevare i “Pablito” di domani».
di Massimiliano Chiavarone mchiavarone@yahoo.it