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Nesli, la mia casa con vista sulle contraddizioni di una Milano esigente

Il rapper: "La città devi capirla, altrimenti sei fuori. Milano mi fa sentire completo, mi fa prendere le distanze da me per concentrarmi su quello che voglio esprimere" di Massimiliano Chiavarone

Il cantante Nesli

Milano, 13 giugno 2015 -  «Milano è il mio yin e il mio yang». Lo dice di getto Nesli, cantautore, rapper e produttore musicale. «Mi fa sentire completo, mi ha fatto capire come prendere le distanze da me stesso, dal mio caos, per concentrarmi su quello che voglio esprimere».

Parla della filosofia degli opposti? «Sì, Milano è la contraddizione totale, una cosa è il suo contrario. Può sembrare fredda, ma è ospitale; è l’emblema del lavoro ma qui ci si diverte anche molto. Quando sono lontano da questa città mi sento decentrato».

E allora quando ha cominciato a trovare il suo centro di gravità permanente a Milano? «Nel 2003, venivo qui da Senigallia, mia città d’origine, nei week end per vedere alcuni amici e frequentare negozi di dischi. Ma già l’anno dopo presi a stare a Milano dal lunedì al giovedì. Era il mio periodo del divano perché per la notte trovavo soluzioni improvvisate, ospitato a ruota dagli amici e spesso dovevo arrangiarmi a dormire su un divano se non c’era un letto disponibile. Seguii questa routine per circa quattro anni».

Aveva anche trovato lavoro a Milano? «Sì, mi esibivo in alcuni locali e in serate organizzate da negozi di abbigliamento hip hop con mio fratello Fabri Fibra e un dj. Avevamo date anche a Bologna e Rimini. A Senigallia tornavo nei week end per scrivere, in settimana ero di nuovo a Milano per esibirmi. La prima era il mio studio, la seconda il mio palcoscenico. Con mio fratello ho suonato fino al 2002. Ci presentavamo come il microcollettivo “Teste Mobili”. Tra i vari pezzi che facevano c’era “Vaffanculo scemo” raccontando la nostra storia, quella dei fratelli Tarducci, il nostro cognome all’anagrafe. Fabri Fibra si trasferì a Milano nel 2005».

E poi il suo grande passo: anche lei prese casa a Milano? «Sì, nel 2007. Con le case ho sempre avuto fortuna perché amo viverle, starci, farle mie. Trovai un appartamento al 13esimo piano di un palazzone in via Michele De Angelis 10, zona Niguarda che condividevo con altre due persone. E in quella casa, in quella strada, in quegli anni sono maturato».

La sua via preferita? «Viale Ca’ Granda che vedevo dalla mia stanza. Ho impresse nella memoria alcune giornate primaverili, il clangore del tram che passava e io che  mi affacciavo alla finestra e sentivo di poter diventare qualcuno. Era qualcosa di imponderabile, avvertivo una sensazione di pienezza e di aver fatto i passi giusti trasferendomi qui. Ero uno tra i tanti, ma almeno potevo provarci. Ma se non riesci a capirla, Milano ti sputa fuori».

E poi la svolta con il suo pezzo “La fine” reinterpretato da Tiziano Ferro e inserito nel suo album “L’amore è una cosa semplice”? «Sì, quel pezzo faceva in realtà parte del mio cd “Fragile” del 2009 che scrissi dopo un episodio che mi capitò proprio a Niguarda. Una mattina scesi in strada e trovai la mia Punto bianca appoggiata su tre mattoni al posto delle tre gomme, almeno una me l’avevano lasciata. In quel momento capii di essere fragile, ma anche di essere pronto a voler provare le cose fino in fondo e trovare in me stesso le energie per reagire. Nacque il concept del disco e il video di “Fragile” lo girai proprio in quell’appartamento al 13esimo piano. La vista da quel grattacielo mi spingeva a spostare l’asticella delle mie aspirazioni e aspettative sempre un po’ più in alto».

Qual è la nuova fase della sua ricerca musicale con l’ultimo album “Andrà tutto bene” (Universal)? «Marcare ancora più le distanze dal rap, rafforzare la mia capacità di scrittura, di autore, senza pregiudizi di generi musicali e senza associazioni a legami e parentele».

A proposito, i rapporti con Fabri Fibra si sono raffreddati e lei non ama parlarne. E’ anche vero però che il soprannome Nesli glielo diede proprio suo fratello. «E’ un anagramma di Lines, la marca di pannolini. Me lo affibbiò perché ero il più piccolo. Con Fabrizio abbiamo avuto molte cose in comune: case, musica, amici. Anche se non ci vediamo, ci vogliamo bene. Ora siamo due treni in corsa ma che viaggiano su binari diversi. Quando avremo di nuovo qualcosa da condividere sono sicuro che ci rincontreremo. E forse proprio a Milano».

di Massimiliano Chiavarone   mchiavarone@yahoo.it