SIMONA BALLATORE
Cronaca

Luci sulla città, dalle tre ciminiere al Beltrade: la Milano di Luca Bigazzi

Il direttore della fotografia dei record torna a lavorare nella sua città con la nuova serie tivù firmata da Ivan Cotroneo

Luca Bigazzi (foto di Carola Scandella)

Milano, 11 febbraio 2018 - Ha illuminato “La grande bellezza” e i capolavori di Paolo Sorrentino; il suo sguardo è in “Pane e Tulipani” di Silvio Soldini e nell’ultimo Virzì, “Ella & John”. Luca Bigazzi, il direttore della fotografia dei record (sue anche sette statuette ai David di Donatello), ha appena accompagnato “La sedia della felicità” al festival del cinema italiano di Como per un omaggio a Carlo Mazzacurati e sta per tornare a illuminare la sua Milano – dove ha “fotografato” fra gli altri “Un eroe borghese” di Michele Placido e “L’intrepido” di Gianni Amelio” - con una serie tivù firmata da Ivan Cotroneo.

Luci sulla città: com’è la sua Milano?

"Io sono nato qui, amo visceralmente la mia città, istintivamente. Grazie a quello che è stato fatto negli ultimi anni ha ritrovato la sua vera anima: cosmopolita aperta, tollerante, gentile, curiosa. È piena di iniziativa".

E qui è cominciato tutto: la scuola milanese ha segnato una svolta nel cinema.

"All’inizio degli anni Ottanta con Silvio Soldini abbiamo cominciato a produrre i primi film indipendenti. Ho un debito morale verso Milano e verso l’Obraz Cinestudio, che non c’è più e che ha formato la passione mia, di Silvio e di tanti altri giovani".

Sul Lario ha riportato l’ultimo Mazzacurati. Il ricordo più bello?

"Un grande regista e un grande amico. Era estremamente sensibile, tremendamente intelligente. Quando girava “La sedia della felicità” era molto malato, stava soffrendo ma non ha mai perso la leggerezza, l’umorismo. Era il suo addio al cinema, si è circondato di amici che amava. Conservo le foto in cui continua a ridere".

Insieme a lui, quale regista ha lasciato più il segno?

"Mi sono affezionato a tutti i registi con cui ho lavorato, Soldini, Sorrentino, Cotroneo, fra gli altri. L’empatia è fondamentale sul set, non c’è tempo per le parole, bisogna capirsi al volo. Il cinema è davvero un’opera d’arte collettiva".

Qual è lo stato di salute del cinema italiano oggi?

"È in grandissima forma, negli ultimi anni giovani registi eccezionali hanno fatto film meravigliosi con budget ridicoli, A Ciambra di Carpignano, Cuori Puri di De Paolis, Orecchie di Aronadio, Sicilian Ghost Stories di Piazza e Grassadonia... Il problema è l’indifferenza, non del pubblico, ma degli esercenti che non lo difendono come dovrebbero e della critica. Gli italiani non amano più il Paese, c’è un rimpianto per un passato che non era certo migliore: la strada spianata per il ritorno del fascismo e dei totalitarismi. È questo che mi preoccupa. Sul cinema sono più ottimista".

I suoi luoghi milanesi del cuore e “da film”?

"Le tre ciminiere vicino alla stazione Garibaldi, il luogo simbolo di “Paesaggio con figure” di Soldini. Evocavano un cinema diverso, tedesco. Paolo Sarpi, piena di vita. Ho trascorso la mia infanzia in zona Sempione. Mi piacciono Lambrate, la Bovisa, Quarto Oggiaro, la Fondazione Prada, i tremila luoghi inesplorati. Il mio cinema di riferimento è il Beltrade: si è formato uno zoccolo di resistenza. E amo tutti i luoghi in cui vado a girare: ho anche Napoli nel cuore, in fondo milanesi e napoletani si attraggono".

Non ha mai “tradito” la sua città?

"Sono scappato verso Roma negli anni un po’ più spenti, fra gli ‘80 e i ‘90. Ma sono felicemente tornato".

Si torna anche a girare a Milano?

"Insomma, non troppo. Manca una Film Commission che sostenga il cinema con forza. Ma noi ci torniamo sì e il Comune ha dimostrato attenzione: gireremo una serie tivù, “La compagnia del cigno” di Ivan Cotroneo. Fra due settimane si comincia".