Influencer italiani e fornitori cinesi: l'internazionale del falso online

Cattolica e ministero dell’Interno: canali web per merce contraffatta, piccole spedizioni e controlli impossibili

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di Andrea Gianni

Il “suk“ si sposta dalle strade al web, con i social network come canale per piazzare prodotti contraffatti. Un mare dove nuotano "attori criminali" diversi, anelli della stessa catena: dagli “influencer“ che attirano consumatori sui social e nei forum online ai fornitori di “falsi“ localizzati nei Paesi asiatici fino a “broker“ dell’Est Europa che aiutano i contraffattori nella gestione delle piattaforme informatiche. I prodotti, poi, vengono spediti per posta direttamente a casa dell’acquirente, e il denaro circola su società di comodo, viene ripulito e reinvestito da un’internazionale del crimine. Un fenomeno messo sotto la lente nel rapporto finale del progetto Fata-From Awareness to Action, prima ricerca in Italia che analizza in modo sistematico l’evoluzione della contraffazione nei mercati online.

Lo studio è frutto di una collaborazione tra Università Cattolica – con il suo spin-off Crime&tech – e il ministero dell’Interno, con il supporto di Amazon. "La crescita dell’e-commerce e dei consumi sui mercati online – si legge nel rapporto – ha portato il fenomeno della contraffazione ad un’altra dimensione. Difficile da quantificare, ma sicuramente caratterizzata da nuovi attori, schemi criminali, modi operandi e reati. Ormai la vendita di ‘falsi’ sul web si accompagna ad un corollario più ampio di reati economici e finanziari, come ad esempio le frodi con i servizi di pagamento, il furto di identità e altre forme di criminalità cyber. Non più un solo reato quindi, ma un vero e proprio fraudster journey, un viaggio fraudolento". Il giro d’affari della contraffazione, secondo il report di Oecd-Euipo, ammonta a 461 miliardi di dollari a livello globale, il 2,5% del commercio mondiale. Nonostante l’assenza di stime affidabili sulle dimensioni dei ‘falsi’ sul web, sono diversi i segnali che suggeriscono l’espansione: il 56% dei beni contraffatti sequestrati nell’Uenel periodo 2017-2019 è attribuibile infatti a prodotti venduti online. Sul totale del valore dei sequestri, però, solo il 14% deriva dall’online, proprio per la “parcellizzazione“ in piccole spedizioni che rende più difficili i controlli rispetto a merce che viaggia sui grandi container. Uno studio ha individuato su Instagram ben 56.769 account utilizzati per vendere prodotti contraffatti, un aumento del 171% rispetto ai 20.892 account individuati nell’edizione precedente dello studio. Questi account, nel solo 2019, avrebbero pubblicato oltre 64 milioni di post e, in media, 1.6 milioni di storie ogni mese, avendo la possibilità di raggiungere, solo tramite i propri follower, già più di 20 milioni di utenti. Su TikTok, inoltre, i post con hashtag riferiti a prodotti contraffatti hanno superato le 100 milioni di visualizzazioni a livello mondiale. Una giungla nella quale prospera la criminalità organizzata italiana e straniera. Risalire lungo la catena è un’impresa molto più ardua, rispetto al classico blitz nei mercati o nelle fabbriche dei “tarocchi“.

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