
Paolo Errante Parrino e Matteo Messina Denaro
Milano - Punto di riferimento in Lombardia per Matteo Messina Denaro. Non è vero, non ci sono per prove. Tra gli elementi di “disaccordo” tra Procura e Gip nella maxi-inchiesta sul sistema mafioso lombardo c’è anche la figura di Paolo Errante Parrino, cugino del boss di Cosa Nostra, da tempo residente ad Abbiategrasso, che figura tra i 153 indagati nell'inchiesta della Dda milanese. Per Parrino, così come per altri 141 indagati, il Gip Tommaso Perna ha negato il carcere, sostenendo che non esistono evidenze di un patto tra le varie organizzazioni criminali in Lombardia.
Il bar e Niko Pandetta
Parrino, nato a Castelvetrano (Trapani) 76 anni fa, è residente da anni ad Abbiategrasso, dove la sua famiglia gestisce il bar Las Vegas, al centro delle polemiche nel 2020 per un concerto del cantante neomelodico Niko Pandetta, ora in carcere per traffico di droga. Parrino è cugino da parte di madre di Messina Denaro e secondo gli inquirenti avrebbe continuato a comunicare con lui durante la lunga latitanza.
Referente di Cosa Nostra
Secondo la Dda milanese, Parrino – la cui prima condanna per associazione a delinquere di stampo mafioso risale al 1997 – sarebbe il "referente nell'area lombarda della Provincia di Trapani, con specifico riferimento al Mandamento di Castelvetrano", riconducibile "all'ex latitante Messina Denaro", e uno dei componenti "del sistema mafioso lombardo" oltre che già condannato in passato per associazione mafiosa.
Raccordo col boss
Sarebbe stato Parrino, secondo le indagini dei carabinieri, "il punto di riferimento del Mandamento di Castelvetrano nel Nord Italia", mantenendo "i rapporti con i vertici di Cosa Nostra, in particolare, con Messina Denaro", latitante fino al 16 gennaio 2023, "rappresentando il punto di raccordo tra il sistema mafioso lombardo e l'ex latitante, a lui trasferendo comunicazioni relative ad argomenti esiziali per l'associazione".
Sistemazione per la famiglia
In particolare, dicono gli investigatori, avrebbe anche mantenuto e "curato i rapporti con la famiglia dell'ex latitante, vertice di Cosa Nostra", occupandosi di "qualsiasi necessità del nucleo familiare da soddisfare in Nord Italia, compreso un adeguato supporto logistico in caso di bisogno".
Lo stop del Gip
La ricostruzione della Dda non convince per il gip di Milano, secondo il quale mancano le prove per “affermare che Parrino abbia proseguito, anche dopo la prima condanna del 1997, il suo rapporto di affiliazione al mandamento di Castelvetrano, né tantomeno all'associazione lombarda ipotizzata dall’accusa”. Per il giudice, la Procura su Parrino, come in realtà su decine di altri indagati, ha portato solo “elementi” di tipo “suggestivo” per provare che il 76enne “abbia continuato a far parte del sodalizio” mafioso anche dopo la fine degli anni ‘90.
Cesarino
Secondo l'accusa, Parrino sarebbe stato "intermediario per conto della famiglia trapanese dei Pace nella controversia con Amico Gioacchino”. E, nel novembre 2021, a Castelvetrano avrebbe incontrato anche le sorelle, la nipote e la madre dell'allora superlatitante Messina Denaro. E ancora, sempre secondo la Dda, avrebbe intrattenuto “perduranti e confidenziali rapporti” con il sindaco di Abbiategrasso (Milano) Cesare Nai (non indagato), che chiamava, scrive la Procura, “Cesarino”, e con altri esponenti del Consiglio comunale. Ma non c'è alcuna prova, secondo il gip, che Parrino abbia messo in pratica la “metodologia mafiosa” nei fatti elencati, definiti dallo stesso giudice anche come “scarsamente rilevanti”, e che addirittura lo avrebbe fatto come presunto appartenente della confederazione delle tre mafie.
La casa popolare
Tra l'altro, quando un detenuto si sarebbe rivolto a Parrino affinché intervenisse sul sindaco perché, mentre era in carcere, gli era stata "sequestrata l'abitazione di edilizia popolare”, l'intervento del 76enne si era rivelato “non dirimente”, scrive il gip, trovando “l’opposizione” del primo cittadino.
Bagatelle
Un episodio che dimostra, chiarisce il giudice, che anzi "la presunta associazione” non è “in grado di esercitare alcun potere di controllo sul territorio”. Per il gip, in pratica, a Parrino sono state contestate dal pm “vicende bagatellari”.