di Andrea Gianni
MILANO
In quella comunità "va solo gente come noi che può pagare, non ce n’è di drogati". Un tariffario di oltre 10mila euro in cambio della disponibilità ad accogliere detenuti offrendo un programma di recupero, primo passo per ottenere misure meno afflittive. Da alcune chat acquisite nell’ambito dell’inchiesta coordinata dalla Dda di Milano e condotta dalla Gdf sulle organizzazioni al centro dei traffici di droga a Milano emerge l’esistenza di una comunità di riferimento, gestita da una cooperativa sociale nel Pavese, per persone in cerca di una strada per uscire dal carcere in tempi brevi, pagando grosse somme di denaro. Rapporti opachi che potrebbero finire al centro di nuovi sviluppi investigativi, così come le informazioni riservate che alcuni indagati avrebbero ricevuto su operazioni e movimenti delle forze dell’ordine. A "offrire la soluzione" è Alessio Pistillo, uno degli indagati, che nel tentativo di far uscire dal carcere un complice arrestato per droga era entrato in contatto con persone che avevano già ottenuto i domiciliari nella struttura del Pavese, con la garanzia di seguire percorsi di recupero e reinserimento sociale. Un luogo dove, annotano gli investigatori, secondo i racconti gli "ospiti dimorano in appartamenti" e "coloro che sono implicati in vicende giudiziarie pagherebbero cospicue somme di denaro" in cambio della disponibilità della cooperativa a emettere "una dichiarazione di disponibilità ad accogliere il soggetto da allegare alla richiesta di scarcerazione".
I "ragazzi della comunità", si legge nelle chat, "vogliono sui 10 pali", cioè 10mila euro. Per mandare in porto l’operazione è anche necessario nominare (e pagare) un avvocato di fiducia "ammanicato con quelli della comunità". A quel punto interviene Michael Fasano, il presunto capo dell’organizzazione di Quarto Oggiaro, disponibile a mettere i soldi per la liberazione dell’amico: 10mila euro per la comunità e un intermediario albanese, oltre a "duemila come compenso per l’avvocato". E l’amico viene effettivamente “liberato“, ottenendo dal Tribunale di Milano i domiciliari nella comunità. Dalle chat emerge anche "una rete di contatti e relazioni" che consentiva a Bartolo Bruzzaniti e al socio Franco Barbaro di ottenere "informazioni riservate" anche "relative all’imminenza dell’esecuzione di misure cautelari". "Mi hanno chiamato per dirmi che imminente c’è operazione tra Saronno e Domodossola", scriveva Bruzzaniti in una chat. Dai messaggi emerge anche l’accesso a banche dati, nel tentativo di individuare veicoli "sospetti" perché "ritenuti utilizzati dalle forze di polizia impegnate in indagini".