ENRICO CAMANZI
Cronaca

Il Virus che infettò Milano L’eredità del punk anni ’80

Volantini, proclami e manifesti dei concerti organizzati nel centro sociale. Raccolto tutto il materiale prodotto dai giovani occupanti di via Correggio

di Enrico Camanzi

Virus. La patologia che mise Milano sulla carta geografica del punk mondiale. Del centro sociale anarchico Virus e del suo scontro-incontro con Milano parliamo con Giacomo Spazio, artista e grafico che con Marco Teatro, pittore e scenografo, ha curato “Virus – Il punk è rumore” (Goodfellas edizioni), collezione di tutto il materiale prodotto dai punk metropolitani fra il 1982 e il 1989.

Perché questa raccolta e perché farla uscire oggi?

"Io e Marco abbiamo entrambi frequentato il Virus. Due anni fa ci venne l’idea di ripercorrerne la storia, pensando di mostrare quello che è stato con un approccio asettico da ricercatori. Perché dagli anni ’80 il punk ha accompagnato le vicende italiane, dal punto di vista estetico ma anche da quello culturale".

Quali sono i temi affrontati dai punk di allora che troviamo anche oggi?

"Tantissimi. Il nucleare e l’ambiente. Il pacifismo. Il sessismo. La voglia dei giovani di incontrarsi in città e lo scontro con istituzioni che hanno sempre osteggiato il mondo underground, quando invece dovrebbero dialogare con queste realtà e persino finanziarle".

Come fu il rapporto del Virus con Milano?

"Conflittuale. La città non volle mai considerarne proposte e iniziative. E così dall’altra parte si optò per una radicalizzazione delle posizioni. Milano non riuscì a capire che il Virus portava avanti un’idea di trasformazione e rinnovamento culturali".

Quali erano le posizioni dei punk milanesi?

"Condividevano un profondo distacco rispetto al pensiero politico anni ’70 e l’adesione a una sottocultura che, nelle sue differenze, non portava avanti solo un discorso estetico".

Comunicazione e sperimentazione dei linguaggi: che eredità ci consegna il Virus?

"Una chiara urgenza espressiva. Rimangono impresse, a mio parere, le grafiche crude di una band come i Wretched e le mutazioni del logo del Virus. Artwork e stili utilizzati per i volantini sono stati fonte di ispirazione per i mondi più diversi, influenzando fino a oggi arte e moda per una via sotterranea".

Altri mondi che risentono della “lezione” del punk?

"I primi a riscoprire i tatuaggi in Italia sono stati i punk. Molti artisti del tattoo vengono da questa sottocultura. Non mancano gli scrittori. E ancora case editrici, musicisti e writer".

Insomma, il punk e il fermento culturale del Virus sembrano lontani dall’essere sepolti…

"È una presenza meno evidente rispetto al passato, magari, ma con una penetrazione più globale. Si pensi alle sfumature colorate che tingono le chiome di persone che il punk non l’hanno conosciuto direttamente. E se Fedez si fa vanto di dipingersi le unghie, non bisogna dimenticarsi che i punk, a Milano e in tutto il mondo, lo facevano quarant’anni fa. Risale all’epoca del Virus, poi, un aspetto importante che proprio in questi giorni è centrale nel dibattito".

Quale?

"Quella del punk fu la prima generazione a non avere timore a confrontarsi con l’identità di genere. Gay, lesbiche e trans e erano ben accetti e partecipi del discorso politico e di vita".