Il presidente della comunità egiziana "Neanche gli animali agiscono così"

Il leader contro gli arrestati per gli stupri in piazza: non è questione di nazionalità, ma di educazione "Pratiche odiose, qui come dieci anni fa al Cairo. Lavoriamo ogni giorno per rispetto e integrazione"

Migration

di Marianna Vazzana

"Le aggressioni e le violenze della notte di Capodanno scuotono la nostra comunità. Quella non è la nostra cultura: neanche gli animali si comportano così. Sono azioni disumane. Prendiamo le distanze, condanniamo fermamente quegli atti incivili e brutali. Ma non si punti il dito contro ‘gli stranieri’. È una questione di educazione, di investimento sui giovani, che deve partire dalla famiglia e proseguire a scuola. Questo vale indipendentemente dal Paese d’origine". Sono parole di Mahmoud Othman, presidente dell’Associazione comunità egiziana a Milano e provincia e fondatore della scuola araba bilingue di via Stratico, zona San Siro, dedicata allo scrittore egiziano insignito del premio Nobel Nagib Mahfuz. Nato in Egitto, Othman ha 58 anni, è italiano d’adozione (ha la cittadinanza da 25 anni), imprenditore, papà di 5 figli di cui 3 femmine e nonno di due nipotine. Ieri ha approfondito l’argomento insieme all’associazione “Ultimi presidio Milano“ intitolata a Luisa Fantasia (vittima della ‘ndrangheta): "Chi ha sbagliato deve pagare - commenta Tiziana Vecchio, referente insieme a Walter Moccia, ed ex assessore del Municipio 7 -. Ma basta strumentalizzare: occorre darsi da fare nei contesti in cui si genera il malcontento tra i giovanissimi, di qualunque nazionalità".

Othman, i ragazzi del ‘branco’ sono nordafricani o immigrati di seconda generazione. C’è un legame tra le loro azioni e la terra d’origine?

"Un comportamento del genere non fa parte della nostra cultura. Chi commette azioni di questo tipo non ha appreso l’educazione e noi, come comunità, condanniamo quello che è accaduto a Milano così come abbiamo condannato le violenze contro le donne in piazza Tahrir al Cairo quasi 10 anni fa. Pratiche odiose. Lavoriamo ogni giorno perché ci siano rispetto e integrazione".

Questi assalti e violenze, Taharrush Jama’i in arabo, fanno pensare a un rischio banlieue?

"La periferia soffre se non c’è attenzione. I ragazzi si perdono se non hanno opportunità né punti di riferimento. E questo vale per egiziani, per italiani e per ragazzi di qualsiasi nazionalità. Chi arriva a commettere azioni disumane come la Taharrush Jama’i di solito proviene da contesti problematici, ha interrotto la scuola, non ha interessi. Lavorare con i ragazzi: questo bisogna fare. La scuola è alla base".

La vostra ha aperto tra le polemiche 15 anni fa, inizialmente in via Ventura. Ora come sta andando?

"Molto bene. La nostra è la ventiseiesima scuola straniera che ha aperto in Lombardia, dopo quelle tedesca, svizzera, francese e tante altre. Abbiamo 350 alunni, dall’asilo nido fino alla terza media. È un istituto non confessionale, multietnico e multiculturale, con lezioni in italiano e in arabo a giorni alterni. I programmi sono doppi e alla fine dell’anno gli alunni devono sostenere esami nelle scuole pubbliche milanesi. Abbiamo musulmani e cristiani copti. Studenti maschi e femmine. Il rispetto verso tutti, verso la donna in particolare, è sacro. Organizziamo attività sul territorio. Siamo aperti e accoglienti. La scuola è nata per il desiderio di far integrare i ragazzi nella città in cui vivono ma senza dimenticare le loro origini: per questo qui imparano l’italiano e l’arabo. Abbiamo salvato tanti matrimoni misti, con papà egiziano e mamma italiana per esempio, che in casa litigavano per la scelta della scuola".

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro