Il Dna sul coltello inchioda i due fratelli

Trovate tracce biologiche del diciassettenne che “si lanciò come una tigre“ contro Simone e del 15enne truffato sulla partita di droga

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di Barbara Calderola

Uniti fino in fondo, anche dal Dna. Il destino dei due fratelli di origini marocchine arrestati insieme ad altri 19 ragazzi per lo scontro fra bande in cui è morto Simone Stucchi, è legato indissolubilmente. Insieme quella sera, insieme nella responsabilità che gli inquirenti attribuiscono nell’omicidio del ventiduenne vimercatese, insieme anche nelle tracce genetiche lasciate sul coltello usato per ammazzare. Sull’arma a serramanico, "venti centimetri di cui 10 di lama, trovata aperta con il blocco inserito sulla scena del crimine" – come scrive il gip di Milano che ha fatto scattare il blitz – c’era il codice biologico di entrambi. Quello del diciassettenne, che si è lanciato su Simone "come una tigre", quello del quindicenne, che aveva ricevuto il ‘bidone’, avendo venduto droga per 800 euro in cambio di soldi falsi a Davide Colombi, l’organizzatore dello scontro finale. Ieri, fra i 21 ragazzi finiti in arresto, di cui sette in carcere, due in comunità e uno con l’obbligo di starsene chiuso in casa, sono iniziati gli interrogatori di garanzia davanti al giudice. Si è partiti dai minorenni, perché in caso di un chiarimento delle posizioni possano eventualmente essere allentate le misure, poi si proseguirà con i maggiorenni.

Un lavoro lungo, diviso fra Milano e Torino, dove uno degli accusati, il 17enne che avrebbe sferrato il colpo mortale al giovane edicolante, è recluso perché al Beccaria non c’è più posto. Colombi, che aveva raccontato ai carabinieri di "aver solo un debito per una dose a uso personale non pagata di 50, 100 euro", e che intercettato confermava agli amici che il problema erano gli 800 euro falsi rifilati al più giovane dei due fratelli, sarà sentito oggi. Martedì mattina dovrebbe presentarsi a scuola, in un istituto di Vimercate, per l’esame di maturità. Potrebbe farlo soltanto se il giudice l’autorizzasse.

La sua è una delle figure chiave di questa vicenda. È lui, dopo l’affare sul "fumo" finito male con il più giovane dei fratelli originari del Nord Africa, a diventare il protagonista di una faida che finirà con un morto a terra, nel parchetto di Pessano, con il cuore spaccato dal famoso coltello.

È lo stesso Colombi a raccontarlo, edulcorando qualche particolare, ai carabinieri nei giorni successivi alla rissa. "Lui (il giovane spacciatore arrestato per il delitto insieme al fratello, ndr) mi mandava minacce con Sms e telefonate a casa, in altri messaggi mi ha scritto il mio indirizzo, per farmi capire che sapeva dove trovarmi – mette a verbale Colombi –. Poi mi ha scritto “Come sta Maurizio?”, per farmi capire che conosceva il nome di mio padre, che poteva fargli male. Poi ha continuato con la mia fidanzata e suo fratello. Anche a loro ha scritto che se io non avessi pagato, li avrebbe aspettati a casa. Io, impaurito, ho chiesto aiuto agli amici…". Settimane dopo fra gli "amici" che lo aiutano c’è Simone Stucchi, che afferrato per il collo, finisce accoltellato al petto. E poi in terra, preso a calci. Per niente.

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