
Galleria Vittorio Emanuele
Milano - «Come faccio a dirgli che un colpo di fulmine mi coglie impreparata se sono sui tacchi? Passiamo sopra il toro, lui non si accorge, viene da una città di mare". L’aneddoto sull’appuntamento romantico nel Salotto buono di Milano firmato da Ornella Vanoni è il prologo del libro “La nascita della Galleria Vittorio Emanuele II” (editore Ulrico Hoepli) di Riccardo Di Vincenzo, scrittore nato a Milano il 2 ottobre di 66 anni fa, che si interessa di storia culturale e di letteratura da oltre quaranta ed è già autore del volume “Le gallerie di Milano”. Si concentra ora sulle origini del primo grande monumento dell’Italia unita, inaugurato in pompa magna nel 1867, "non la prima galleria del mondo, anzi la sessantaquattresima, ma la più famosa", che in oltre un secolo e mezzo di vita ha stregato autori e artisti ma non solo.
Uno su tutti, Mark Twain, che scrisse "mi piacerebbe viverci per sempre". E poi è stata d’ispirazione in altri angoli di mondo. "La mia passione è nata durante l’infanzia", dallo stupore di un bimbo che si ritrovava in quel mondo raffinato e quasi fiabesco, fatto di marmo, acciaio e vetro. "Nel 1982 ho scoperto i passages di Parigi, attraverso l’autore Louis Aragon. Da allora non ho mai smesso di raccogliere materiale cartaceo e fotografico". Documenti e sapere prezioso, riversati nelle sue opere. "C’è una parte testuale classica, una antologica con una quarantina di testi d’autore e moltissime fotografie, sia di mia proprietà e sia concesse da fonti pubbliche milanesi". Tra i racconti, quello di Hemingway che in “Addio alle armi “ scrive: al "Grand’Italia, George, il capocameriere, ci riservava una tavola. Era un bravo cameriere e gli lasciavamo ordinare il pranzo mentre guardavamo la gente e la grande Galleria nel crepuscolo e noi stessi". Il locale si chiamava un tempo “Caffè Gambrinus“, nome tedesco. Per motivi patriottici, divenne il Grand’Italia nel 1915. Il primo a sperimentare la luce elettrica tra i caffè della Galleria.
Tra le storie , quella del cognato del sindaco Antonio Beretta (primo cittadino dal 1860) che si chiamava Giovan Battista Marzorati e acquistò delle casupole prima della costruzione della Galleria, con l’intenzione di cederle al doppio del prezzo. E non si può non citare il mistero della morte del progettista Giuseppe Mengoni, che la sera prima dell’inaugurazione dell’arco, nel 1877, cadde da un’impalcatura della sua creatura e morì. "Il Comune – continua l’autore – comprò la Galleria per 7 milioni nel 1869 dalla società italo-britannica che l’aveva costruita. Una cifra altissima. L’Isola di Montecristo costò 100mila lire". I prezzi alle stelle c’erano anche allora. "Da subito fu il caffè-salotto della città. Ma nel tempo l’anima è cambiata: negli anni è stata sede di associazioni, di partiti politici, di compagnie telefoniche e botteghe storiche. C’erano gli strilloni e,fino almeno agli anni Settanta, c’era un capannello di anziani che lì si ritrovava a pontificare sulla vita della città". A un certo punto "ci si è resi conto che poteva essere la perfetta antagonista di via Montenapoleone. E sono arrivati gli stilisti e i grandi marchi. I prezzi degli affitti? Sempre più alti, perché è ambitissima". E il risultato è che "la Galleria è sempre più dei turisti e un po’ meno dei milanesi". Ma non perde mai il suo fascino.