Giungla carceri Verso una vera riabilitazione

Silvia

Fucci*

In un carcere dell’Alabama un’evasione-fuga dall’epilogo tragico. La poliziotta Vicky White, 56 anni (agente modello, vicina alla pensione), ha aiutato ad evadere dalla prigione un detenuto, Casey White, 38 anni, con il quale pare

avesse una relazione da 2 anni. Dopo 11 giorni di fuga, la coppia è stata raggiunta dalla polizia e la donna si è suicidata.

Il carcere: ”un mondo nel mondo“, una “giungla“ ove ognuno deve trovare il modo per difendersi accettando,

anche senza volerlo, compromessi devastanti.

Il carcere, così come è organizzato oggi nel nostro Paese, è un luogo in grado di poter rieducare e portare il soggetto alla risocializzazione?

È in grado il sistema attuale di riabilitare sul piano psichico soggetti disturbati?

È possibile, invece, che accada il contrario e che si rinforzino i disturbi della personalità che

non condurranno mai alla pacificazione con la società civile e, soprattutto, alla integrazione? Non sarebbe il caso di rivedere le politiche carcerarie, cercare di rieducare seriamente persone che mostrano volontà di cambiamento? Tutti gli sforzi finora fatti per rivedere il sistema stanno dimostrando una scarsa volontà di cambiamento. Le carceri dovrebbero diventare come vere e proprie comunità, dove il detenuto può condurre uno stile di vita dignitoso. Inoltre detenuti che non hanno commesso reati gravi magari vengono costretti a condividere gli spazi con soggetti che hanno reso gravi atti nella società. È per questo che sarebbe necessario distinguere i reati e la condizione mentale ed emotiva, per evitare la

cosiddetta “promiscuità psichica “. La storia di Vicky e Casey ci insegna come nelle carceri possano nascere situazioni “malate”, portando al condizionamento psicologico soggetti che dovrebbero rimanere distaccati.

*Psicologa clinica

e psicoterapeuta

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