
Le macchinette spesso al centro di verifiche della Finanza
Milano, 7 maggio 2015 - Pietro ha 70 anni ed è malato. Nella mente e nel corpo, distrutti dal gioco. E poco importa se oggi è riuscito a smettere, perché "da questo male non guarisci. Mai. L’unica cosa che puoi fare è resistere e andare avanti giorno per giorno". Pietro (il nome è inventato, ndr) arriva da un comune lombardo, tra le regioni più colpite dal vizio del gioco. Aveva una famiglia unita, una moglie e una passione, quella del volontariato. E in pochi mesi ha rischiato di perdere tutto. Era uno come tanti fino 5 anni fa. Si trovava nel "suo" bar, in mezzo ai soliti amici, durante la sua “prima volta”: "Non sono mai stato un giocatore", racconta, chiedendo di restare anonimo mentre rivive "i giorni peggiori della mia vita". «Un amico seduto davanti a una macchinetta mi ha detto “dai, perché non fai una prova?”». Da quel momento l’inferno. "Ho vinto sa? Quando ho giocato, intendo. Ho messo un euro e sono uscito con un centone". Un fremito nella voce mentre gli occhi si illuminano per un istante. Ma è solo un attimo: "Allora però non mi rendevo conto che a quel gioco non puoi vincere. Le slot non perdonano, e per quanto tu possa guadagnare non pareggerai mai i conti". Una volta, poi un’altra e un’altra ancora: "Non mi rendevo conto di quello che mettevo dentro. L’atmosfera, la musica, quelle lucine. Ti entra nel sangue, e in un attimo sei perduto". Seduto al bar, passava anche una giornata intera a giocare: "Arrivavo prima dell’apertura e me ne andavo dopo il tramonto. Se anche ero costretto a uscire – continua – magari solo per “fare bancomat”, mettevo “il cappello sulla slot”: si dice così, nessuno poteva giocarci fino al mio ritorno, il barista lo sapeva. Porta male". Intanto "scuse e bugie erano l’unica costante nella sua vita coniugale: "Con mia moglie andava male – ricorda –. Le raccontavo di tutto: una volta mi avevano rubato la bicicletta, la volta dopo mi ero fermato a casa di un amico, e così via. Poi ho cominciato a finire i soldi, ho iniziato a chiedere prestiti: mille euro, poi due, quattro. Sono arrivato fino a 17mila". Si vergogna mentre confessa.
Fa una pausa, un respiro profondo e poi riprende: "Sono arrivate le cambiali, i conti da pagare, le bollette in arretrato. Ho pensato di farla finita, per sempre. Poi di prendere i soldi dalla cassa della mia associazione. È stata mia figlia a salvarmi, le devo tutto". Così è iniziata la terapia: sono passati due anni ormai. "Mi sono rivolto a Simone Feder, fondatore del movimento Noslot. Sono andato a Bergamo all’inizio, poi a Pavia, alla Casa del giovane. Ora non gioco più anche se quando entro al bar capita ancora che mi fermi a fissare quelle macchinette. Se vedo qualcuno che ci butta un capitale mi avvicino, cerco di farlo ragionare e gli spiego che io ne sono uscito, e che può farlo anche lui. Ma loro mi guardano scettici. So che non si può guarire, ma si può sempre combattere, per te e per chi ti sta intorno. Oppure puoi arrenderti e trasformarti in un mostro, bisogna scegliere. Devi solo guardarti allo specchio e capire che uomo sei". Chiunque avesse bisogno di aiuto può rivolgersi al centro d’ascolto del gruppo Noslot al numero 0382-3814485.