Claudio
Negri
La collina brulla dietro Albenga, dove andavano a sparare per la prima volta le reclute, te la ricordi bene? Quattro o cinque curve, salendo, poi un sentiero tra sassi e ortaglie, vigilato da altane. Sparare, si fa presto a dire sparare. Perché il fucile è una bestia selvatica anche in tempo di pace e più che mai lo è oggi nel conflitto che arrossa l’oriente d’Europa. Ma tu eri nel mezzo di una guerra fredda, potendo giocarci, diciamo così, senza troppi danni. Però c’era un problema: il fucile non faceva bang: la sua vera voce era un botto secco, spiazzante. Il vecchio Garand continuava a esprimersi in americano gergale e poi scalciava nel rinculo, ma tu non lo avevi mai provato: non era comunque il modo di comportarsi. Non facevano quel baccano i Winchester dei Soldati Blu accerchiati dai Sioux, né l’armeria di zio Ernest in safari “a norma di legge” contro quasi tutta la fauna africana e con moglie al seguito, pure lei sparante. E sempre meglio loro dei bracconieri o dei trafficanti di avorio. La fila di reclute davanti a te si raccolse a terra e sparò e molte tue certezze uditive andarono in frantumi. Così, quando toccò a te eri in pieno marasma. Il caricatore si era inceppato, il tenente sacramentando lo sbloccò e il Garand tornò inquieto e carico tra le tue braccia riluttanti. Le sagome calibrate, là in fondo, non le notasti nemmeno: svuotasti il caricatore puntando a casaccio, a occhi chiusi, nella terra di nessuno. “Ma come cristo spari?” urlò il tenente. La seconda andò meglio, su in Friuli: centrasti persino uno spigolo di sagoma. Alla terza volta il rumore del Garand suonò del tutto familiare. Pronto a giocare alla guerra, con la tua generazione di boomers cresciuti a riso soffiato e ai Forti di Forte Coraggio. Ma pronto a che? Il tuo pensiero imperfetto e debole, da allora, era stato il seguente: mai abituarsi troppo al rumore delle armi. Su quella collina brulla dietro Albenga il gioco della guerra aveva la sua voce, che ti piacesse o meno.