
Ce l’ha con l’enfasi e fa bene: di questi tempi, ha una connotazione quasi caricaturale. E, invece, adora gli avverbi. Uno in particolare: "senza". Dettaglio che, in un mondo del food milanese malato di vanità (almeno in epoca pre-Covid), lo rende saggio e simpatico. Sta di fatto che il suo locale l’ha chiamato "Sine" ("Senza" in latino). Con un’aggiunta che la dice lunga su questo chef napoletano, all’anagrafe Roberto Di Pinto, esperienze di spicco in giro per il mondo, quindi l’illuminazione: tornare in Italia e aprire a Milano un ristorante "gastrocratico", neologismo che sta per "democrazia del cibo", altro gioco colto con le parole per sottolinearla la sua filosofia: se la cucina deve essere priva di fronzoli e affidarsi all’essenza dei sapori, non può essere elitaria.
Se così è, si merita un bentornato questa trattoria neo-urbana di viale Umbria 126 che – ha promesso Roberto – riaprirà i battenti a giorni, grazie alle nuove regole decise dal governo. Per la precisione, nel prossimo weekend, intanto è già a regime il take away. E lo è anche il delivery (338.1708473 o info@sinerestaurant.com), gestito dalla casa grazie alla disponibilità di alcuni camerieri. Senza scordare Martina, la moglie, regista impeccabile in sala e ideatrice militante del servizio di consegna: packaging ecosostenibile, scodelle e stoviglie compostabili. Ovvio, sono pur sempre i piatti a contare, ambasciatori di una cucina partenopea non faziosa. E qui, l’offerta è studiata ad hoc perché le pietanze che circolano non debbano subire il minimo deperimento qualitativo.
A cominciare dagli antipasti come la "Catanapolitana d’astice" dove Roberto unisce le Ramblas al Vesuvio. Per passare ai "primi" come il "Sartù di riso alle melanzane con burrata di Andria", ai "secondi" come l’iconico "coniglio in fricassea" e ai dolci come la "Caprese che voleva essere una Sacher". Novità del momento, il menù "Cucina tu" con un kit per cucinare tra le mura domestiche. Divertente? A guardare le richieste, parrebbe di sì. Lui, Roberto, ha una sua massima. "Peter Pan è ancora vivo". Ci avremmo giurato.
Paolo Galliani