"Galleria, troppi vantaggi a Chanel" Così Damiani ha battuto il Comune

Le motivazioni che hanno portato il Tar a revocare l’assegnazione del Cobianchi alla griffe della moda. Nel mirino è finita la clausola di prelazione: "Non traspare un impegno di risorse tale da giustificarla"

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di Nicola Palma

La sentenza è troppo recente per avere certezze sull’eventuale ricorso in Consiglio di Stato da parte di Palazzo Marino, anche se in tutti i casi precedenti sulla Galleria che hanno visto sconfitta l’amministrazione in primo grado c’è sempre stato un secondo tempo della battaglia legale. C’è da aggiungere, però, che il verdetto di due giorni fa sul Cobianchi, anticipato ieri dal Giorno, è quasi un unicum: i giudici non si sono limitati, come sempre in passato, ad annullare l’aggiudicazione di un determinato spazio e a ordinare un nuovo iter, ma, rilevando la "colpa del Comune nell’impostazione della procedura selettiva", hanno ribaltato in toto la partita, assegnando i mille metri in abbandono dell’ex albergo diurno e le altre due vetrine con vista Salotto alla società Damiani, che per quel lotto aveva originariamente presentato un’offerta economicamente migliore (1,3 milioni di canone annuo e 1,865 per la riqualificazione), salvo poi essere superata da Chanel grazie alla clausola di prelazione.

Già, è proprio questo il nodo: la clausola di prelazione accordata alla griffe dell’alta moda, in virtù della manifestazione d’interesse presentata nell’agosto 2020 per avere in concessione per 18 anni il Cobianchi e trasformarlo in spazio polifunzionale e centro espositivo. In sostanza, il Comune ha permesso a Chanel, che per prima si è fatta avanti per rimettere a nuovo un’area del complesso monumentale da anni abbandonata, di pareggiare la proposta di Damiani. I giudici hanno bocciato questa scelta, ritenendola illegittima e bollandola come vietata dalla direttiva 2006 del Parlamento europeo sulla liberalizzazione delle attività economiche del mercato interno. In particolare, il collegio presieduto da Fabrizio Fornataro ha ritenuto che la clausola non fosse sorretta né dalla "salvaguardia del patrimonio artistico e culturale" né dal fine di "realizzare le opere di risanamento dei beni oggetti del lotto mediante il ricorso al finanziamento di privati e dunque senza un preventivo esborso di denaro". Il Tar ha anche acceso i riflettori sulla ratio stessa del diritto di prelazione, che il decreto legislativo numero 50 del 2016 prevede per i lavori pubblici o di pubblica utilità con lo strumento della finanza di progetto a iniziativa privata. Tuttavia, nel project financing la clausola è giustificata dall’esigenza "di compensare l’ingente impiego di risorse richiesto per la predisposizione del progetto di fattibilità e del piano economico-finanziario". E nel caso di Chanel? La proposta progettuale legata alla manifestazione d’interesse "non è caratterizzata né da una particolare complessità di confezionamento né dalla spendita di risorse significative".

Di più: "Il legale rappresentante della Chanel srl si è infatti limitato a descrivere la destinazione, a spazio multifunzionale e interattivo (culturale, sociale e commerciale) e a centro espositivo dei prodotti di bellezza della maison, dei locali dell’ex albergo diurno Cobianchi e a elencare, a titolo esemplificativo, una serie di interventi di ristrutturazione e di allestimento". Tradotto: "Non traspare un particolare impegno di risorse" per la predisposizione della proposta, "che sia meritevole di essere tutelato con gli effetti reali derivanti dalla clausola di prelazione". Da qui l’illegittimità riconosciuta dal Tar e "la grave alterazione della concorrenza e della parità di trattamento degli operatori economici, in assenza di motivi imperativi di interesse generale".

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