"Fuseaux e pantajazz Vestimmo le ragazze: volevano stare bene"

Floriano Omoboni e il brand Dimensione Danza

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di Mariachiara Rossi

Erano gli anni Ottanta, quelli delle tv commerciali, di Drive In di Antonio Ricci in Italia e dell’aerobica di James Fonda negli States, quelli che hanno visto i ragazzi della Generazione X, trovare una valvola di sfogo, dopo il lungo periodo delle lotte politiche, del terrorismo e della violenza nelle piazze, nel consumismo e nella cultura americana dell’edonismo reaganiano. Floriano Omoboni, a quei tempi responsabile vendite del brand Dimensione Danza, nato nel 1983 dall’estro creativo di Enrico Baroni, già direttore di Fiorucci a New York, insieme alla moglie Nadia Necchi, sull’onda del successo del film cult Flashdance, è stato uno dei primi a intercettare le esigenze dei giovani delle famiglie "bene" di Milano.

"Al momento della nascita di Dimensione Danza, lavoravo per un altro marchio, Meeting dell’iconico Raimondo Tauro, e ho fatto da collante tra le due aziende. Avevo notato che mancavano dei prodotti sportswear e noi ci siano inseriti proprio in quel mercato. Abbiamo dato, soprattutto alle ragazze, quello che desideravano: body in cotone, fuseaux aderenti e panta jazz. C’era il desiderio di prendersi cura di se stessi e di sentirsi bene, senza pensare troppo ai risvolti che alcune scelte avrebbero portato", racconta Omoboni, attualmente produttore di trasmissioni televisive di sport. Il primo negozio Dimensione Danza nasce in piazza Beccaria e trova subito il favore del pubblico, così che in poco tempo ne sorgono altri due, in corso Europa e in corso Vercelli: "L’America e la cultura liberista erano i modelli di riferimento. Per farle un esempio: Best Company, la felpa-divisa dei paninari, non era certo un marchio americano, si tratta di un’azienda italiana nata per sfruttare l’appeal del Paese a stelle e strisce". Gli adolescenti si ritrovavano in piazza San Babila, per parlare di musica e moda, vestiti da testa a piedi con capi firmati: "Li riconoscevi subito: si identificavano con un abbigliamento costoso e particolarmente appariscente. L’identikit tipo di un paninaro: calzature rigorosamente Timberland, jeans Levi’s, cintura El Charro, felpa Best Company e piumino Moncler".

Alla sera, poi, sulle onde dei Wham e dei successi di Madonna, si passava da Burghy per raccogliere gli amici e partire verso mete più prestigiose. "Sono grato a Dimensione Danza perché mi ha dato prestigio, ricordo ancora le file fuori da Mias, la fiera degli articoli sportivi. Ci ha dato grandi soddisfazioni". Nei primi anni 2000, Dimensione Danza, sulla scia di un contesto che aveva spazzato via l’eccessivo e smodato senso di esibizionismo dei Paninari, cominciò un lento declino. Di quegli anni rimane il ricordo di una generazione che vedeva nella cultura consumistica uno sprazzo di libertà.

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