Milano – “Dentro di me c’era un peso, un senso di colpa per gli errori gravissimi che ho commesso: ho cercato di uscirne attraverso il dialogo e l’incontro con chi ha subito danni per le nostre azioni”.
Da questo percorso fuori dal carcere è nato il rapporto con Agnese Moro, la figlia dello statista sequestrato dalle Brigate Rosse e ucciso nel 1978, e "nonostante le mie responsabilità nella morte di suo padre abbiamo scoperto che è possibile diventare amici e capirci nel profondo".
Anche con Giorgio Bazzega, figlio del maresciallo dell’anti-terrorismo Sergio Bazzega ucciso, assieme al vicequestore Vittorio Padovani, dal brigatista Walter Alasia, che sparò quando le forze dell’ordine entrarono nella casa dei genitori in via Leopardi a Sesto San Giovanni per arrestarlo il 15 dicembre 1976, “si è creata un’amicizia vera".
Franco Bonisoli, ex terrorista membro del comitato esecutivo delle Brigate Rosse, che partecipò al sequestro Moro e al massacro degli agenti della scorta e anche per quell’azione è stato condannato a quattro ergastoli, racconta a tremila studenti di tutta Italia radunati al Centro Asteria di Milano, gestito dalle Suore Dorotee, il suo lungo percorso di giustizia riparativa con i parenti delle vittime.
Un tema tornato sotto i riflettori dopo che nel 2022 la riforma Cartabia per la prima volta ha regolato e reso strutturale il tentativo di risanamento del legame tra vittime, colpevoli e comunità, promuovendo anche l’apertura di centri di mediazione nelle città.
Una svolta che ha preso le mosse anche dalle esperienze di ex brigatisti come Bonisoli, ora in libertà dopo 22 anni e mezzo di carcere, che negli anni ’80 e ’90 si sono dissociati dalla lotta armata. "Anche grazie alla nostra esperienza si è arrivati alla legge sulla giustizia riparativa – spiega Bonisoli rispondendo alla domanda di uno studente – ed è importante tradurre tutto questo anche nel quotidiano".
Un riferimento alla scuola, ai conflitti di tutti i giorni, ma anche alle manifestazioni studentesche e alle guerre che stanno insanguinando l’Ucraina o il Medio Oriente, perché "la violenza non serve a niente, e quando si creano certe spirali è difficile uscirne e non si può avere limite al male".
La dissociazione, e la giustizia riparativa, hanno anche diviso le strade di ex brigatisti legati dalla lotta armata ispirata da idee sconfitte dalla storia. "In tanti non se la sentono e li capisco – racconta Bonisoli – non è facile pensare di incontrare una vittima, guardandola negli occhi".
Perché - chiede uno studente - stragisti di estrema destra non hanno seguito percorsi di giustizia alternativa? "Bisognerebbe chiederlo a loro - risponde Bonisoli - io spero che nel cuore di ogni persona possa maturare questa esigenza".
L’ex terrorista porta quindi la sua testimonianza sul passato, in uno degli incontri con gli studenti "aumentati dopo che è scoppiata la guerra in Ucraina". "Seguivamo l’idea sbagliata di cambiare la società attraverso la violenza – racconta Bonisoli – ho lasciato tutto per entrare nelle Br e ho iniziato ad attaccare prima le cose e poi le persone. Pensando di fare il giusto, perdevo la mia umanità".
Poi l’arresto, gli anni del carcere di massima sicurezza e la crisi: "Le vittime cominciavano a palesarsi come persone, e sentivo sulle spalle un peso insostenibile". Infine il percorso di cambiamento, per "uscire da quelle gabbie fisiche e mentali in cui mi ero cacciato".