
di Nicola Palma
Più di 400mila euro incassati da fondi europei per l’agricoltura. Peccato che a F.C. mancasse uno dei requisiti fondamentali per poter accedere ai finanziamenti: la titolarità dei terreni che ha inserito nel piano presentato all’Ue. Così, a distanza di 5 anni, la Corte dei Conti della Lombardia ha condannato l’imprenditore lodigiano a ridare alla Regione (che ha materialmente erogato il contributo) 401.586,71 euro, nonostante siano ancora in corso sia il processo penale che la causa civile. La storia inizia nel 2015, quando un’indagine della Guardia di Finanza di Lodi intercetta un possibile danno erariale ai danni dell’Organismo pagatore regionale (Opr) di Palazzo Lombardia: la segnalazione parla di soldi del Fondo europeo agricolo di garanzia che sarebbero stati illecitamente percepiti da F.C., titolare della ditta agricola individuale che porta il suo nome. Come? "Tramite la presentazione di documenti irregolari, incidenti sui titoli di conduzione dei terreni dichiarati nella domanda di aiuto necessari per ottenere il pagamento dei contributi dal 2008 al 2013". In sostanza, l’imprenditore avrebbe dichiarato di possedere o avere in affitto appezzamenti che in realtà erano intestati o locati ad altri. Sì, perché affittuari e proprietari dei terreni ubicati tra Montodine (provincia di Cremona), Montanaso Lombardo e Bertonico (entrambi in provincia di Lodi) – compresa la Fondazione Ca’ Granda, che gestisce dal 2015 il cosiddetto "patrimonio campagna" da 600 milioni di euro del Policlinico – hanno "disconosciuto qualsiasi forma di contratto stipulato" con F.C. Risultato: la Regione ha dichiarato la decadenza parziale della domanda per il 2009 e quella totale per gli anni 2010, 2011 e 2012, "quantificando l’indebito contributo percepito in 401.586,71 euro". Gli avvocati dell’imprenditore hanno sostenuto in udienza che in realtà il loro assistito aveva stipulato contratti di "affittanza agraria orale" con i proprietari, ma che poi questi ultimi, "forse intimoriti per l’indagine in corso", avevano reso "dichiarazioni non corrette alla Guardia di Finanza". I giudici hanno però accolto la linea della Procura: pur ammettendo la possibilità di stipulare un "contratto agricolo orale", la difesa di F.C. si è scontrata con le testimonianze delle controparti, che hanno "escluso di aver mai concesso in locazione i terreni indicati" né di "aver percepito canoni o compensi"; solo uno dei proprietari ha fatto riferimento a "generiche trattative per una eventuale vendita, poi non intervenuta".
Di più: la Corte dei Conti ha fatto notare che nel caso della Fondazione Ca’ Granda, "soggetto incontestabilmente pubblico", il contratto "avrebbe dovuto avere necessariamente forma scritta, come prescritto per tutti i contratti con la pubblica amministrazione a pena di nullità, avendo tale forma scritta una funzione di garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa". Così non è. Peraltro, hanno chiosato i giudici, la non veridicità dei documenti presentati da F.C. risulta "confermata dalla soccombenza in sede civile (in primo grado, ndr) nel giudizio sulla revoca del finanziamento comunitario". Conclusione: l’imprenditore deve ridare tutti i soldi, a meno che nel frattempo la Regione non ne abbia già recuperato una parte.