
Guido Podestà
Milano, 24 febbraio 2015 - "Le condotte realizzate hanno posto in essere artifici idonei ad inficiare la regolarità delle operazioni di voto, che avrebbero potuto essere annullate per questo motivo". Lo scrive il giudice di Milano Monica Amicone (quarta sezione penale) nelle motivazioni della sentenza con cui, lo scorso 28 novembre, ha condannato a 2 anni e 9 mesi l'ex presidente della Provincia di Milano, Guido Podestà, e 4 ex consiglieri provinciali per il caso delle oltre 900 firme false poste a sostegno del listino di Roberto Formigoni e della lista Pdl per le Regionali del 2010. E secondo il magistrato le firme false sul listino di Formigoni «hanno impedito il libero diritto di scelta, da parte dei sostenitori delle candidature, rispetto alle quali ciascun sottoscrittore, sia pur simpatizzante, può decidere liberamente di apporre o no la propria firma»
L'inchiesta fu coordinata dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo e scattò dopo un esposto dei Radicali. Con la condanna il reato contestato a Podestà fu riqualificato da falso ideologico a falso elettorale (previsto dalla legge speciale n. 570 del maggio 1960). Condannati anche gli ex consiglieri provinciali del Pdl Massimo Turci e Barbara Calzavara a due anni e mezzo di reclusione e Nicolò Mardegan e Marco Martino rispettivamente a 1 anno e un mese e 9 mesi. Podestà, nel 2010 coordinatore lombardo del Pdl, era stato tirato in ballo da Clotilde Strada, all'epoca responsabile della raccolta firme. Strada, infatti, ha raccontato che quel 26 febbraio del 2010 «avevamo raschiato il fondo del barile delle nostre possibilità» e «non eravamo in grado di raccogliere le firme necessarie. Podestà - ha spiegato la donna a verbale - mi guardò e mi disse: 'Avete i certificati elettorali, usatelì». Secondo il giudice, la versione di Strada è credibile e le sue dichiarazioni «spontanee ed autonome». Nel loro contenuto, si legge ancora, «suddette dichiarazioni sono apparse complete, quanto alla narrazione dei fatti, del cui svolgimento danno una esaustiva spiegazione».
Per il giudice si tratta di una vicenda di «peculiare gravità». Il bene tutelato dal reato di falso elettorale, infatti, è di «rango particolarmente elevato, intimamente connesso al principio democratico della rappresentatività popolare, in quanto si ripercuote sul regolare svolgimento delle operazioni elettorali e sul libero ed efficace esercizio del diritto di voto».
LA REPLICA - «Ho letto, anche se rapidamente, le motivazioni depositate dal giudice della quarta sezione penale del Tribunale di Milano nel processo nei miei confronti. Ho avuto purtroppo conferma che il contributo dato al processo, in termini di prove documentali e testimoniali, dalla mia difesa è stato il più delle volte ignorato e, ove il giudice lo abbia considerato, ne ha dato una lettura errata». Lo afferma, in una nota, l'ex presidente della Provincia di Milano, Guido Podestà. «È stata invece valorizzata unicamente la testimonianza interessata di Clotilde Strada - sottolinea Podestà - senza che il dato più evidente emerso nel processo, ossia il fatto che la sig.ra Strada abbia reso, davanti al giudice, almeno due versioni totalmente inconciliabili degli stessi fatti (e comunque non suffragate da alcuna prova), sia stato preso in considerazione. Quasi che queste versioni dei fatti, oggettivamente incompatibili, possano essere conciliate in qualche modo».