MARIO CONSANI
Cronaca

Fausto e Iaio, 40 anni senza verità

Uccisi dai killer in via Mancinelli due giorni dopo il rapimento Moro

I funerali di Fausto e Iaio

I funerali di Fausto e Iaio

Milano, 13 marzo 2018 - Otto colpi nel buio. La sera del 18 marzo 1978, Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci (per tutti Iaio), appena diciottenni, vanno a cena, come d’abitudine il sabato, a casa di Fausto, dove mamma Danila prepara il suo rinomato risotto. Alle 21 saranno al centro sociale Leoncavallo per un concerto di blues. Mancano pochi minuti alle otto quando escono da un locale proprio davanti al centro sociale e da piazza San Materno si incamminano lungo via Mancinelli. È all’altezza del portone di una scuola inglese che Fausto scorge delle ombre. In tre si avvicinano. Nemmeno uno scambio di battute, nessuna discussione. Uno dei tre, il più alto con addosso un impermeabile bianco, alza il braccio. Tiene in mano una pistola, nascosta in un sacchetto di plastica per non far cadere i bossoli. Otto colpi in rapida successione. Il primo ad andare giù è Iaio, che si piega in due e finisce in una pozza di sangue. Muore subito, su quel marciapiede. Fausto sopravvive pochi minuti.

Sono passati 40 anni giusti e di quel duplice omicidio rivendicato dall’estrema destra non si sono mai scoperti i responsabili, uno tra i pochi fatti di sangue dell’epoca rimasto nel buio dei delitti senza colpevole, senza un “pentito” o un dissociato. Otto magistrati per un’indagine senza verità, senza nemmeno un processo.

Eppure Fausto e Iaio non muoiono in una qualunque sera di marzo. Muoiono in un’Italia sgomenta e sotto assedio perché due giorni prima un commando delle Brigate rosse ha rapito a Roma il presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro massacrando i cinque uomini della sua scorta. Una strage che nel tempo ha fatto scolorire nella memoria tutto il resto, compresa la morte di quei due ragazzi milanesi fatti fuori per strada a pistolettate. Anche per questo arriva opportuno «L’assassinio di Fausto e Iaio. Quel maledetto 18 marzo 1978, ore 19.57» (Red Star Press editore) di Saverio Ferrari e Luigi Mariani, quest’ultimo avvocato delle famiglie dei due giovani come lo era stato, anni prima, del ballerino anarchico Pietro Valpreda.

È un volume che ripercorre i fatti e le vicende anche attraverso la rilettura degli atti giudiziari (sabato 17 ore 21 la presentazione al “Leonka” in via Watteau, sabato 24 ore 19 a Book Pride). Sorprese non ce ne possono essere, ma elencati uno dopo l’altro - a partire da quello su un impermeabile bianco abbandonato in un bar sul quale forse non si indagò abbastanza - fanno una certa impressione i dubbi rimasti dopo l’archiviazione decisa nel 2000 dal giudice Clementina Forleo per i tre sospettati dell’omicidio, ragazzi dell’età di Fausto e Iaio ma con tutt’altra storia. Tre neofascisti romani legati ai Nar, in seguito processati e assolti per altri omicidi, sui quali gravavano «significativi elementi indiziari» secondo lo stesso giudice Forleo, anche se non sufficienti per un processo. Nomi poi ricomparsi sulle cronache come quello di Massimo Carminati, recente protagonista di “Mafia Capitale” e condannato in primo grado a 20 anni per associazione a delinquere. E Mario Corsi, quel “Marione” con un passato burrascoso nei Nar ma da anni protagonista celebrato del tifo romanista con la sua radio giallorossa. Il terzo era Claudio Bracci, coinvolto nelle vicende legate all’eredità criminale lasciata a Roma dalla banda della Magliana. Per Ferrari e Mariani non c’è dubbio che quello di Fausto e Iaio sia stato un omicidio politico ai danni di due ragazzi di sinistra scelti a caso. Ma avranno agito da soli, i tre killer spuntati dall’ombra in via Mancinelli come kamikaze a due giorni dal rapimento Moro, oppure qualcuno li mandò e in seguito li ha protetti?