
ristorazione da asporto
Milano, 13 maggio 2020 - Prima, la bulimia delle promesse e l’anoressia degli aiuti. Poi, l’imposizione di misure sanitarie considerate punitive e insopportabili. E adesso, la rumorosa rivolta dei ristoratori contro le drastiche regole a cui dovrebbero attenersi per riprendere le attività dopo oltre 2 mesi di black-out. "Nessuno di noi ha ancora preso visione delle esatte misure decise dal Governo. Ma quello che emerge dalle indiscrezione è folle. È inconcepibile imporre distanze di almeno 2 metri e pretendere che attorno ai commensali venga garantita un’area di sicurezza di 4 metri quadrati: si tratta di regole insostenibili dal punto di vista sia organizzativo che economico". Durissimo il commento di Lino Stoppani, presidente nazionale Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi), voce accreditata di un mondo della ristorazione che in Italia conta oltre 112mila attività imprenditoriali (8mila in Lombardia, 3.500 nella sola Milano) e appare ostile a un’apertura formale degli esercizi a partire dal 18 maggio considerata troppo restrittiva, peraltro disomogenea a livello regionale.
Ieri Stoppani ha contattato i ministri della Sanità e dello Sviluppo Economico, Roberto Speranza e Stefano Patuanelli, per cercare di forzare correttivi sul documento finale dell’Esecutivo, forte di una protesta trasversale, che sembra coinvolgere tutti, dalle semplici trattorie ai locali stellati. Questione di numeri. Di previsioni drammatiche. E di simulazioni, effettuate in alcuni ristoranti, con risultati sconfortanti sulle condizioni di ripresa del lavoro. "Se le misure di cui si vocifera venissero applicate, i ristoranti si vedrebbero tagliare due terzi della loro operatività e del loro fatturato. Con inevitabili ricadute sui livelli occupazionali", ha spiegato Stoppani, scomodando dati e cifre delle Agenzie delle Entrate sulla Ristorazione in Italia.
Se il pre-Covid consegnava la fotografia di un Paese con 7 milioni di coperti giornalmente disponibili, le nuove misure porterebbero all’azzeramento netto di 4,2 milioni di questi coperti, quota doppia pensando alla possibilità di operare a pranzo e a cena. "Qualcuno deve spiegarci perché nelle mense collettive viene preteso il solo metro di distanziamento tra i tavoli mentre nei ristoranti la stessa misura non viene considerata legittima". E ancora: "Siamo i primi a tenere alla salute di tutti. Ma come potrebbero i ristoratori affrontare obblighi simili?". Sotto accusa l’eccessiva riduzione degli spazi in locali che dovranno già prevedere a vere e proprie acrobazie: organizzare sanificazioni ripetute tra i tavoli, nelle toilette, nelle cucine; controllare le autocertificazioni e l’eventuale stato febbrile dei presenti; ed esigere le mascherine per dipendenti e ospiti. "I politici non hanno nemmeno coinvolto le categorie interessate. È un errore di metodo e di merito. Almeno si provveda con indennizzi, aiuti per gli affitti ed estensione degli ammortizzatori sociali". Insistente la richiesta di risposte risolutive per un comparto della ristorazione che segnala una capacità media di guadagno effettivo tra il 10 e il 12% del fatturato. "Non potremo sopportare un’agonia ulteriore dopo mesi di lockdown. Servono aiuti adesso. Più tardi sarà troppo tardi".