NICOLA PALMA
Cronaca

Faida tra bande al Gratosoglio Pistole, amstaff e machete "Quelli li dobbiamo sfondare"

Blitz della Squadra mobile: dodici arrestati per la mega rissa con sparatoria del 7 aprile. Lo scontro di Rozzano e la vendetta alle 2 in via Baroni. "Abbiamo sbagliato ad andare".

Faida tra bande al Gratosoglio  Pistole, amstaff e machete  "Quelli li dobbiamo sfondare"

Faida tra bande al Gratosoglio Pistole, amstaff e machete "Quelli li dobbiamo sfondare"

di Nicola Palma

Sconfinamenti di territorio da vendicare in giornata. Inseguimenti e pestaggi. Animi che si accendono per uno sguardo di troppo o un drink nel posto sbagliato. Agguati mascherati da richieste di chiarimenti e pose da duri sui social. Cap di quartiere come segno di riconoscimento e scriteriate evoluzioni sui T-Max già viste in epoca Covid per bloccare il traffico e girare un videoclip. Faide per conquistare l’egemonia in una determinata area, senza che a fare da accelerante ci siano per forza interessi economici legati allo spaccio. In estrema sintesi: la pretesa di voler imporre la legge del più forte con una pistola, un coltello o un molosso sguinzagliato contro il nemico, convinti che nessuno andrà mai a fare domande su quei regolamenti di conti in periferie che qualcuno pensa (a volte a ragione) dimenticate da tutti.

E invece i poliziotti le domande hanno iniziato a farle quella notte stessa, ricevendo in verità solo risposte reticenti e fuorvianti. Poi è servito un lungo e complesso lavoro di approfondimento degli specialisti della Squadra mobile, guidati dal dirigente Marco Calì e dal funzionario Domenico Balsamo, per ricostruire tutto quello che è accaduto prima, durante e dopo la violentissima rissa deflagrata poco meno di quattro mesi fa tra i casermoni popolari di via Baroni. La risposta è arrivata forte e chiara: "Lo Stato c’è, anche qui, non siete voi i padroni". All’alba di ieri è scattata la retata, estesa anche alle province di Alessandria, Caserta e Brescia: in manette, su ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Anna Magelli su richiesta dell’aggiunto Laura Pedio e del pm Roberta Amadeo, sono finiti in dodici (due ancora ricercati), di cui nove in carcere e tre ai domiciliari. L’indagine scatta alle 2.15 del 7 aprile. Gli agenti delle Volanti Tevere, Corvetto e Barona bloccano il venticinquenne Martin Xhaferai, che è talmente dolorante da non riuscire a proferire verbo: ricoverato all’Humanitas per una ferita al volto provocata da un colpo di machete, quasi certamente perderà la funzionalità dell’occhio sinistro. A parlare sono invece i fratelli Mario e Guglielmo Ricciardelli, 44 e 47 anni, coinvolti nel 2009 in un blitz antidroga, ma le loro versioni non convincono. Nel frattempo, le tute bianche della Scientifica iniziano a lavorare negli abitacoli di due Jeep Renegade e sull’asfalto del Gratosoglio: ci trovano tracce di sangue, un coltello e tre bossoli esplosi da una semiautomatica calibro 7.65. Più credibile il racconto di uno dei componenti dell’altra parte, il ventenne Mohamed Amine Mourid, che riferisce di essere stato picchiato a Rozzano la sera del 6 dal gruppo capeggiato dai Ricciardelli e di aver chiesto aiuto ai carabinieri della tenenza locale.

Di più: fornisce i profili Instagram di alcuni di quelli che gli hanno rotto due incisivi, mettendo i segugi di via Fatebenefratelli sulle tracce di Mohamed Moukafih e Anass Razazi. Pian piano, il quadro si fa più nitido, anche grazie alle telecamere di videosorveglianza. Quella sera, il resoconto finale, il gruppo degli albanesi residenti a Milano si reca a Rozzano: prima tappa in un bar del centro. Lì avviene il contatto-screzio col maggiore dei Ricciardelli, che chiama subito il fratello per organizzare un raid punitivo: "Oh Mario, sta arrivando pure Paolino, sto andando a prendere Toni, piglia due o tre mazze da baseball ché so tre cogl... li dobbiamo sfondare Mario!". I forestieri si spostano in un ristorante, ma all’uscita ritrovano i Ricciardelli, che li pedinano in auto: alla Renegade di Guglielmo si è aggiunta un’Alfa Stelvio. Gli albanesi, seppur ammaccati, riescono a raggiungere la caserma per cercare di mettersi in salvo: lì descrivono quello che è accaduto ai militari, che poco dopo l’una, visto quanto accaduto, scortano con tre pattuglie gli albanesi al Gratosoglio. Finita? No, perché mezz’ora dopo è sempre lì che va in scena la resa dei conti. I fratelli Ricciardelli incontrano Dario Ferro, 41 anni, che dice di voler chiudere la questione a nome degli albanesi.

In realtà, dalle parole si passa ai fatti: i rozzanesi sono al completo e cominciano a menare le mani, ma vengono sorpresi alle spalle dall’avanzata degli avversari, che al richiamo di Ferro – "Venite, venite" – sbucano con mazze e bastoni. Si scatena il putiferio in strada: Ferro aizza il suo Amstaff contro gli altri, e sarà proprio il cane ad avventarsi contro il braccio armato di Razazi, azzannandoglielo e impedendogli di continuare a sparare proiettili ad altezza uomo. All’improvviso, Xhaferai si ritrova solo: i "ragazzi di Dario" lo colpiscono anche quando è già a terra, fin quando Mourid si vendica col machete degli incisivi spezzati a Rozzano. Un occhio per due denti, in una folle riedizione contemporanea della legge del taglione. "Abbiamo avuto la peggio noi... – ammetterà Guglielmo una settimana dopo –. Abbiamo sbagliato ad andare".