Luca Zorloni
Cronaca

Grandi manovre sul cibo: le tigri del Sudest asiatico fanno shopping all’Expo

In arrivo imprenditori da Sudamerica e Inghilterra

La Thailandia è uno dei Paesi che ha aderito a un incontro di business organizzato dal padiglione «Cibus è Italia»

Milano, 14 luglio 2015 - Sull'agenda ha spuntato i nomi delle sei aziende che ha già incontrato, a fianco ha ordinato i contatti e i biglietti da visita dei direttori commerciali. Thomas Pellegrini dirige l’ufficio di Jakarta della Classic fine foods, multinazionale giapponese che da sedici anni compra e rivende specialità gastronomica in Estremo oriente. A Expo è approdato con un compito: selezionare produttori italiani di prosciutto di Parma o San Daniele, Grana padano e altri formaggi tipici per rifornire i ristoranti italiani in Indonesia. «Il cibo italiano è abbastanza popolare – spiega il manager –, i ristoranti hanno prezzi competitivi e piatti come pasta e pizza sono familiari». Ai piani alti della compagnia, che sta allargando il suo raggio d’azione a Medioriente ed Europa, il budget per le forniture di cibo italiano è stato fissato a oltre un milione di euro l’anno e a Pellegrini tocca spendere parte dell’assegno. Motivo per cui è all’Esposizione universale di Milano.

L’evento è diventato negli ultimi mesi il crocevia degli affari dell’industria alimentare italiana con i partner stranieri. Dietro alle delegazioni governative degli oltre 140 Paesi ospiti, si muovono schiere di imprenditori. E altri ne arrivano da nazioni che neppure hanno un padiglione a Rho, come l’Australia. «Ieri abbiamo ospitato una delegazione da Adelaide», raccontava qualche giorno fa Pierluigi Spagoni, direttore marketing di Fiere di Parma, tra i gestori del padiglione «Cibus è Italia» all’Expo. È questa la piazza degli affari dell’evento. Nei sei mesi la terrazza all’ultimo piano, dove si organizzano incontri tra compratori stranieri e aziende italiane, ospiterà 43 Paesi in dodici sessioni. Sono già passate le aziende dell’Est e del Nord Europa, di Turchia, Canada, Cina, Qatar e Arabia Saudita, e 70 imprenditori si sono presentati in occasione della giornata nazionale del Kazakhstan. Settimana scorsa è stata la volta delle tigri del Sud-est asiatico: Indonesia, Malesia, Filippine, Singapore, Thailandia e Vietnam, rappresentate da 35 aziende alimentari. Dall’altra parte del tavolo, circa 150 partner italiani.

Secondo i dossier dell’Istituto del commercio estero, si tratta di mete attrattive per gli investitori, con un’accelerata nei consumi che premia l’alimentare di qualità. Michael Tseng, della malesiana Big group, valuta solo cibo gourmet. «Olio d’oliva, aceto balsamico e tartufi – spiega – per negozi alimentari e ristoranti di alto livello». Dalla Thailandia la Kgg corporation ha spedito emissari alla ricerca di burro e materie prime ricercate per le proprie linee di biscotti. A Singapore, che vanta il terzo pil pro-capite del pianeta e un 40% di popolazione straniera, bisogna rinfrescare di continuo i menù dei ristoranti per soddisfare i capricci delle élite che hanno colonizzato la città-stato asiatica. «A Expo sono alla ricerca di nuove specialità, soprattutto formaggi», spiega Alma Fortin, responsabile vendite del gruppo Indoguna, che ha introdotto nell’oasi del lusso prelibatezze italiane come bufala e gorgonzola. Il valzer degli affari continua: il 20 luglio arrivano a Expo i businessmen di Bolivia, Brasile, Cile, Colombia, Perù e Regno Unito.

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