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Emma e il tumore a venticinque anni: "Mi sono salvata con la rabbia. Ragazze, controllatevi sempre"

La cantante testimonial sul palco di Ieo con le donne, davanti a 1.500 pazienti ed ex dell’Istituto "A volte non ci sono sintomi: io stavo benissimo. Ho visto mia madre e mio padre andare in pezzi".

Paolo Veronesi, presidente della Fondazione Umberto Veronesi, e Emma Marrone

Paolo Veronesi, presidente della Fondazione Umberto Veronesi, e Emma Marrone

"Stavo benissimo, avevo accompagnato un’amica dalla ginecologa. “Ma perché non fai una visita anche tu?” Vedo il volto della dottoressa mutare. “Non voglio allarmarti, ma vedo qualcosa che non mi convince. Ti consiglio di ascoltare un altro parere”". Non aveva neanche venticinque anni Emma Marrone, quando ha dovuto affrontare un tumore ovarico che non ha mai tenuto segreto. Ma ieri ha raccontato la sua storia al teatro Manzoni di Milano, davanti a 1.500 pazienti ed ex dell’Istituto europeo di oncologia che hanno affrontato quel viaggio. Generosa più di altri artisti nel regalare anche qualche canzone alla platea, ma soprattutto nel condividere le sensazioni dopo la diagnosi: "Come se mi fossi estraniata dal mio corpo. Il mio problema era salvare i miei genitori prima che me stessa. Perché ho visto mia mamma e mio papà invecchiare di cent’anni di colpo, li ho visti cadere in mille pezzi. La situazione era abbastanza importante". E "in verità ragazze, c’è stata tanta paura di non farcela – ha ammesso la cantante –. La rabbia mi ha salvata. Non sono una abituata a piangersi addosso. La rabbia mi ha spinta a dire alla malattia: “Non puoi vincere tu”. La testa è molto importante", ha ricordato, nell’affrontare la malattia. E la scelta di raccontarla, invece, "un po’ di anni dopo, molto dopo", è arrivata perché "ho pensato a quante ragazze potevano avere lo stesso problema, silenzioso. Io non avevo sintomi, però stare bene non significa non avere magari un problema. E quindi ho iniziato a parlare di questo tema proprio per spingere le ragazze giovani a fare i controlli: ribaltatevi come dei calzini perché a volte, sì, non si hanno dei sintomi". Marrone sottolinea di aver "capito che purtroppo se ne parla ancora poco, non c’è molto spesso un’educazione alla salute. Da lì ho trovato la spinta per raccontare la mia storia, ma in realtà non per parlare di me. Per dire alle ragazze: dovete fare i controlli ogni anno, sempre. Perché poi una cosa presa in tempo" si cura meglio: "Io me lo chiedo spesso: se l’avessi scoperto prima, magari la mia vita sarebbe stata diversa o no? Sicuramente ho avuto anche un pizzico di fortuna. Credo un po’ nel fato, nel destino. Ma anche nella testa: il cervello può aiutare molto a non cedere, a non mollare".

All’evento annuale “Ieo con le donne”, gli specialisti dell’Istituto fondato da Umberto Veronesi, privato contrattualizzato dal servizio sanitario regionale, hanno anche fatto il punto sulle terapie più innovative per ridurre l’invasività delle cure del cancro, nel solco tracciato dal Prof, che proprio quest’anno "ne avrebbe festeggiati cento", ha ricordato il figlio Paolo Veronesi, direttore della Senologia dell’Ieo. "La chirurgia è il trattamento standard per le donne con tumore del seno ed è il caposaldo delle cure per questa malattia - ha sottolineato –. Negli ultimi quarant’anni però l’impegno si è concentrato nel ridurre al minimo l’invasività dell’atto chirurgico per ottenere il minore impatto possibile sulla vita della donna a parità di sicurezza oncologica. Vanno in questa direzione gli studi sulla chirurgia robotica o sull’eliminazione della chirurgia dopo la terapia medica preoperatoria, e i trattamenti percutanei come la crioablazione", la “cura del gelo” utilizzata al momento su pazienti dai 50 anni in su e tumori molto piccoli. Re.Mi.