MARIANNA VAZZANA
Cronaca

Elia Putzolu, foreign fighter morto nel Donbass: il ricordo di papà adottivo e nonna

Milano, il padre adottivo è lo street artist Atomo: "Onesto e diretto, era a disagio nella nostra società Diceva di volere un’esistenza d’altri tempi"

Elia Putzolu, foreign fighter morto nel Donbass: il ricordo di papà adottivo e nonna

Milano - "Era onesto e diretto. Non si trovava a suo agio nella nostra società: la vedeva finta, illusoria. Diceva di voler vivere una vita “d’altri tempi“. Che l’uomo è uomo per quello che fa e non per quello che ha". In queste frasi si concentra il ritratto di Elia Putzolu, il “foreign fighter“ italiano ucciso in Ucraina a 27 anni, compiuti lo scorso 7 settembre. E a tratteggiarlo è Davide Tinelli, alias Atomo, street artist milanese, che per Elia era il papà “adottivo“, il compagno della mamma da quando, 14 anni fa, il ragazzo si era trasferito a Milano dalla provincia di Siena (era nato a Poggibonsi).

"Io ho perso un figlio, sono straziato. E mi dispiace che Elia stia passando per ciò che non era: non era un mercenario e non era filo-putiniano. Aveva abbracciato la causa indipendentista del Donbass e si era schierato in difesa delle repubbliche autoproclamate. Si era trasferito a novembre del 2019, intenzionato a lavorare nella ditta del padre di un suo amico del Donbass, per fabbricare case in legno. Avrebbe fatto il falegname, almeno così ci aveva detto. Poi ha deciso di fare un anno di addestramento volontario nelle milizie russe". Tinelli aggiunge che il ventisettenne aveva imparato il russo da autodidatta. "Aveva una casa in affitto a Donetsk, dove si era trasferito dopo lo scoppio della guerra (prima viveva a Rostov sul Don) e conviveva con una ragazza, di cui però non sappiamo nulla. Ci piacerebbe metterci in contatto con lei".

Il ventisettenne è morto domenica nella regione del Donetsk. "Ucciso da un colpo d’artiglieria. I compagni non hanno potuto recuperare subito il corpo, era impossibile. Hanno dovuto fare un’incursione. La salma ora è in un ospedale a Donetsk e sarà trasferita a Rostov sul Don; da lì, in Italia". Di Elia si dice che sia rimasto affascinato dalla storia dell’Unione sovietica ascoltando i racconti della nonna materna. "Ma io sono nata a Berlino – precisa la stessa nonna –: i miei genitori erano tedeschi del Baltico, mia madre nata in Estonia e mio padre in Crimea. Io ho vissuto in Germania prima di trasferirmi in Italia", dove ha sposato un piemontese. E tra nonna e nipote c’era un legame fortissimo. Una foto in bianco e nero li immortala mentre si abbracciano, sorridenti e fieri.

Ma che tipo era Elia? "Aveva un’espressione da duro, ricercata, che faceva da scudo alla sua sensibilità e bontà. Amava la natura, il mare, le passeggiate. Allenarsi in palestra. Gli piaceva anche leggere romanzi e aveva molti amici". Dopo le scuole medie si era iscritto a un istituto professionale ma aveva lasciato la scuola prima del diploma e si era messo a lavorare come vigilante nei supermercati e poi come barista. Con il suo papà adottivo, "il rapporto è stato spesso conflittuale, dall’adolescenza in poi. I nostri modi di vedere la vita erano diversi però ci volevamo un gran bene". La sua lotta per il Donbass "non gli consentiva di mantenersi, così io e sua madre lo aiutavamo economicamente. Gli spedivamo anche dei pacchi con il cibo, prima che scoppiasse la guerra. Gli mandavamo olio, parmigiano, caffè, la bottarga, di cui era ghiotto, e la pasta di acciughe. L’ultima spedizione risale allo scorso Natale". Il ventisettenne aveva sempre mantenuto buoni rapporti anche con suo padre, che vive a Roma, "e che è straziato quanto noi".

Ora in lutto non c’è solo la famiglia ma anche gli amici di sempre. Ieri mattina una ragazza ha bussato alla porta della casa, in zona Baggio, dove il ragazzo viveva prima di trasferirsi. Era in lacrime, non si capacitava per la sua morte. Il funerale sarà a Milano non appena arriverà la salma che poi sarà cremata. Le ceneri, sparse nei luoghi in cui Elia ha vissuto. Di lui parla anche Ivan, un amico: "Ho capito subito quanto tenesse alla causa delle popolazioni russofone che abitano quelle terre. Credo che nessuno dovrebbe permettersi di giudicarlo senza aver conosciuto la sua storia. È un ragazzo giovane che ha perso la vita lottando non per sostenere un’invasione ma per difendere quelli che lui sentiva probabilmente come suoi fratelli. Non dimentichiamo che viveva già lì".