ANNAMARIA LAZZARI
Cronaca

Due senzatetto morti in 10 ore: "Va cambiata l’accoglienza: non dormitori ma case o stanze"

Alessandro Pezzoni di Caritas: "Per strada ci sono decessi anche quando non c’è freddo. Non mancano i posti nelle strutture ma appartamenti in cui inserire subito le persone".

Due senzatetto morti in 10 ore: "Va cambiata l’accoglienza: non dormitori ma case o stanze"

Due senzatetto morti in 10 ore: "Va cambiata l’accoglienza: non dormitori ma case o stanze"

Non serve solo aprirsi all’umana pietà per la doppia tragedia, consumata a distanza di meno di 24 ore, dei senza dimora uccisi dal freddo (Adrian, il romeno di 57 anni, trovato giovedì mattina privo di vita vicino a una chiesa in via Saponaro, e poi N. B, 46enne milanese, morto al Policlinico dopo esser stato soccorso la sera in arresto cardiaco vicino alla Darsena).

Per il responsabile dell’Area grave emarginazione di Caritas, Alessandro Pezzoni, è tempo di un cambio del modello di governance: "Dobbiamo trasformare in maniera profonda la struttura territoriale dei servizi per portare via le persone dalla strada, mettendo al centro il tema dell’abitare", puntualizza Pezzoni.

Sarebbero (il dato è parziale per ammissione dello stesso Comune) almeno 2mila i senza dimora, secondo “Raccontami2023“, la quarta rilevazione promossa dal Comune di Milano e realizzata in collaborazione con la Fondazione Ing. Rodolfo Debenedetti la scorsa estate.

Questa città non fa abbastanza per gli invisibili?

"Una premessa importante: leggendo i giornali sembra che i senza dimora muoiano solo quando fa freddo. In realtà le statistiche rivelano che il numero di morti cala in modo quasi impercettibile negli altri periodi dell’anno. Io credo che i servizi per gli homeless a Milano siano abbastanza articolati, fra Comune e privato sociale. Se parliamo del Piano Freddo, il problema non è che non ci siano abbastanza posti nelle strutture di accoglienza".

Cosa c’è che non va allora?

"Per diverse ragioni c’è un nucleo di persone che preferisce trascorrere la notte in strada. Fra i motivi il fatto che non si venga accolti nei centri di accoglienza collettiva se si soffre di problemi di salute mentale o di dipendenza di sostanze che spesso peraltro coincidono. In altri casi c’è un rifiuto della struttura a causa di esperienze negative pregresse o perché il centro non è attrezzato per accogliere una coppia".

Che fare?

"Servono nuovi approcci. Per chi proprio non vuole mollare la strada bisognerebbe aumentare le unità di strada e l’educativa di strada. Ma in generale secondo me è necessario spingere sul modello dell’housing first, basato sull’inserimento abitativo immediato. Si tratta di una pratica nata negli Stati Uniti e ormai diffusa anche in Europa che ribalta la logica dell’emergenza, partendo da una casa propria o almeno da una stanza tutta per sé. In questa maniera c’è una maggiore predisposizione da parte del clochard ad abbandonare la strada. Inoltre può entrare in un appartamento anche chi soffre di alcolismo o ha alle spalle un disagio psichico. Il percorso di trattamento è successivo e i dati ci dicono che la percentuale di successo è maggiore".

E come si fa a raccogliere i soldi del Governo e degli enti locali per tutti questi interventi necessari?

"Ci sarebbero i fondi europei. Sebbene l’esperienza a livello internazionale sia consolidata e in Italia sia adottata da dieci anni, a Milano i numeri sono ancora scarsini: parliamo di una ventina di appartamenti destinati all’housing first. L’auspicio è una risposta più forte da parte del Comune, attraverso il suo assessorato alla Casa, con maggior investimenti e la messa a disposizione di alloggi sotto soglia. Un grande dormitorio pubblico da 500 posti, come la Casa dell’Accoglienza “Enzo Jannacci“, invece, non funziona. Meglio pensare a micro-comunità".