
Uno dei tre uomini versa la droga dello stupro nel drink offerto alla vittima
Milano, 19 gennaio 2018 - La serata al pub. Poi la notte da incubo. E il drammatico risveglio. La sequenza choc nelle parole che la vittima, la chiameremo Cristina, ha riferito ai carabinieri nella denuncia presentata il giorno dopo. «Il 13 aprile avevo intenzione di recarmi a casa di amici. Poco prima, intorno alle 23, ricevevo un messaggio in Whatsapp e poi una chiamata telefonica da parte di un amico di nome Marco». È Marco Coazzotti, 28enne originario di Casorate Primo. «Ho accettato l’invito e lui si è poi presentato in auto accompagnato da due suoi amici», prosegue la 22enne. Sono Mario Caputo e Guido Guarnieri, secondo la ricostruzione degli investigatori. I quattro si dirigono in un pub in zona Porta Romana. Ci arrivano alle 23.50, come certificato dalle telecamere di videosorveglianza. «Siamo entrati e dopo esserci accomodati sui divanetti abbiamo iniziato a bere: personalmente ricordo di aver bevuto un aperitivo e due sambuche».
Bevande «corrette» alla benzodiazepina, tranquillante che produce sedazione: gli occhi elettronici del locale immortalano i tre ad armeggiare con un flacone di colore nero tirato fuori dalla tasca della felpa. È una dose altissima, vogliono essere sicuri di stordire Cristina per impedire qualsiasi sua reazione. Tutto premeditato e architettato nelle ore precedenti, evidentemente. «Al momento che siamo risaliti in auto, Marco e Mario mi invitavano ad andare con loro per fare un karaoke» all’interno di un’abitazione fuori città. «Giunti in quella casa – continua la ragazza – non sono sicura nemmeno di aver bevuto altro, ricordo solo che dal momento in cui vi sono entrata ho un vuoto totale di memoria». Solo un flash: «Ricordo in maniera ovattata che dicevo “Basta”, ripetuto più volte». E arriviamo alla mattina: «Intorno alle 5 mi sono risvegliata sopra un divano con una coperta e praticamente svestita, essendo che indossavo solo un top al contrario e gli slip. Senza capirne il motivo, ho iniziato a piangere e tremare». E qui scatta la seconda parte del piano, diabolica: i tre raccontano a Cristina una storia completamente inventata, approfittando dell’amnesia. «Marco mi informava che durante la notte ero stata male, che avevo vomitato tanto da dover farmi lavare i vestiti da sua sorella». E ancora: «Molto alterata, chiedevo a Marco di riaccompagnarmi subito a casa, ma sia lui che i suoi amici dicevano di volermi accompagnare in ospedale, per dire che ero stata male a causa di quanto avevo bevuto». Niente da fare: la 22enne insiste. E così i tre la riportano a casa. «Giunti vicino alla mia abitazione, solo Marco mi ha accompagnato al portone di casa dicendomi “Riprenditi, mi hai fatto preoccupare”».
È l’inizio della messinscena. «Sono salita a casa, dove mi sono direttamente gettata sul letto ancora vestita. Marco ha iniziato a inviarmi dei messaggi che a mio avviso servivano e servono solo a screditarmi, infatti in questi messaggi lui scrive in pratica che io sono una tossica che utilizza cocaina e che devo smetterla con quella roba». Per fortuna, Cristina non ha creduto a una parola e si è subito recata alla Mangiagalli per la visita specialistica. Lì la conferma delle violenze subite e la decisione di rivolgersi alle forze dell’ordine. Con un interrogativo che forse non troverà mai risposta: «Non riesco a capacitarmi del fatto che Marco mi abbia potuto fare quello che ritengo che lui e i suoi due amici mi hanno fatto: Marco è una persona che conosco da tempo e che conosce i miei stessi amici». Perché?