Milano, le donne? Sempre più occupate e... più discriminate

Poche tutele nella capitale italiana del lavoro femminile. "Costrette alle dimissioni dopo la maternità"

Una donna in gravidanza

Una donna in gravidanza

Milano, 26 agosto 2019 - Luisa, quadro nella sede milanese di una multinazionale, dopo la nascita del secondo figlio si è trovata a vivere un incubo in ufficio, al rientro dalla maternità: comportamenti vessatori, da parte del capo, perché aveva provato a rallentare i ritmi, tentando di conciliare la vita di mamma con quella di lavoratrice. Per Claudia, cassiera in un supermercato, l’incubo è iniziato quando ha iniziato a beneficiare dei permessi previsti dalla legge 104 per accudire il figlio disabile. Benefici del part time praticamente annullati dal nuovo orario di lavoro “spezzato” che le è stato assegnato, con sei ore al giorno spalmate su turni dalle 7 alle 19 e il sospetto di una ritorsione da parte dell’azienda. Due donne, indicate con nomi di fantasia per tutelarne la privacy, che si sono rivolte ai sindacati a Milano, primo passo di una battaglia per far valere i propri diritti.

«Le discriminazioni sul posto di lavoro non accennano a diminuire – spiega Ivan Lembo, responsabile Politiche sociali della Cgil di Milano – resta la differenza salariale tra donne e uomini, e la nascita di un bambino genera situazioni di crisi. Ci sono problemi anche per donne che usufruiscono dei permessi della legge 104, in alcuni casi vittime di “mobbing orizzontale” da parte dei colleghi». Un quadro fatto di luci e ombre nella prima città italiana per occupazione femminile, dove oltre il 65% delle donne tra 20 e 65 anni ha un lavoro. Milano, per la percentuale di donne occupate, ha raggiunto i livelli di metropoli come Londra, Parigi e Berlino. Anche se per arrivare a condizioni e tutele nordeuropee c’è ancora tanta strada da compiere. Un exploit trainato dal terziario e dall’innovazione tecnologica. Su 5.000 occupati in più a Milano nel 2018 rispetto al 2017 - tra contratti a temine e posti fissi, autonomi e partite Iva - 4.000 sono donne. E in Lombardia, secondo gli ultimi dati diffusi dai sindacati, nell’arco di dieci anni, dal 2008 al 2018, l’occupazione femminile è aumentata del 5.9%, mentre quella maschile si è fermata a un misero +0.9%.

Donne sempre più emancipate e inserite nel mondo del lavoro, ma anche vittime di discriminazioni che colpiscono tutti i livelli. Dalle addette alle pulizie costrette a orari incompatibili con la cura di un figlio alle manager che dopo la maternità vengono messe in un angolo. Per loro carriera finita. Situazioni che finiscono per esplodere: lo scorso aprile le lavoratrici milanesi del portale eDreams si erano riunite in presidio per denunciare la mancata concessione di part time e orari flessibili alle neomamme. Poche settimane dopo l’epilogo, con il licenziamento per la decisione dell’agenzia di viaggi online di delocalizzare, tagliando 70 dipendenti a Milano.

Solo il dipartimento Politiche sociali e il Centro donna della Cgil di Milano seguono oltre 250 casi ogni anno. E il 60% delle persone che si rivolgono al sindacato per problemi di vario genere sono donne. «Ci troviamo davanti a casi di demansionamento o mobbing velato, che riguardano sia neomamme sia persone con genitori anziani o parenti disabili da assistere», spiega l’avvocato Chiara Vannoni, esperta di diritto del lavoro e consigliera di parità della Città metropolitana. «Un grosso problema è stato anche l’estensione degli orari di apertura dei supermercati – sottolinea – in un settore dove circa il 70% della forza lavoro è costituito da donne. Mentre prima c’erano aziende che licenziavano le mamme dopo il primo anno di vita del bambino, adesso tendono a spingerle a dare le dimissioni attraverso trasferimenti o cambi di orari che rendono impossibile conciliare lavoro e vita da mamma, mettendosi più al riparo da ricorsi in Tribunale. Cambiano i sistemi, ma il risultato è sempre lo stesso».

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