ANNAMARIA LAZZARI
Cronaca

Don Mazzi, prete ribelle: "Ragazzi troppo coccolati, colpa dei genitori che si comportano da bambini"

Il fondatore di Exodus compie 94 anni: “Viviamo i tempi del disimpegno, meglio i figli del '68. I segnali di resa contagiano la scuola: un errore pensare di abolire gli esami di maturità"

Don Mazzi legge Il Giorno

Don Mazzi legge Il Giorno

«Non sono più i tempi dei sogni e dei progetti".

E questi che tempi sono?

"C’è una cultura imperante all’insegna del disimpegno".

Tempo perso, dunque.

"Sì. E i ragazzi ne sono vittime, in qualche maniera". Don Antonio Mazzi – natali veronesi, classe 1929 – compie 94 anni domani. Spirito ribelle, sacerdote "contro", riflette sulla crisi delle nuove generazioni con la solita lucidità mentale e lo sguardo affilato di sempre. Il lavoro alla scrivania, i quotidiani davanti. Borbotta: "Troppe comodità, oggi, troppe coccole...". Lui i ragazzi li conosce come nessuno: vite vere, storie crudeli, non statistiche anonime o materiale da lezione accademica. Don Antonio li accompagna da quasi 70 anni: se ne occupa da quando lui era solo un ragazzo, aveva 25 anni. Strada facendo, nel 1984, nel quartiere Ponte Lambro di Milano, allora terra desolata di spaccio e morte, ha fondato la comunità Exodus per "recuperare gli irrecuperabili" con la cura e lo sport, la musica e il teatro. Adesso Exodus, oltre alla storica comunità terapeutica a Cascina Molino Torrette (riservata ai maggiorenni), ha altri 39 centri sparsi in tutta Italia che garantiscono non solo soluzioni residenziali per chi soffre di dipendenze (circa 600 ospiti ogni anno) ma anche sportelli di ascolto e orientamento per una media di 15mila persone nei dodici mesi. Obiettivo: intervenire sempre più precocemente, riuscire ad arrivare prima che il disagio giovanile esploda in tutta la sua gravità.

E allora, ripartiamo. Don Mazzi, cosa succede ai ragazzi d’oggi?

"Sono i figli dell’età del disimpegno. Sono ragazzi abituati sempre e solo a ricevere: dare non fa parte del loro progetto".

Non conoscono l’etica del sacrificio?

"Altro che sacrificio, che sarebbe una cosa molto elevata. Noi non li abituiamo proprio al più semplice impegno. Mi lasci dire questo: quelli del Sessantotto erano ragazzi che sbagliavano ma almeno i loro errori esigevano comunque un impegno".

Di chi è la colpa?

"Non certo dei giovani, a differenza di quanto sostenga la narrazione adulta. Adesso non vorrei proprio che la gente pensasse: “Ecco il solito don Mazzi che dà sempre la colpa agli adulti“. Ma è evidente che se la società non propone nulla a un ragazzo, non lo aiuta a progettare, lui non può essere così creativo da cambiare il suo presente e tantomeno il futuro. Mi spiace che il disimpegno rischi di contaminare la stessa scuola. Leggo che c’è chi propone persino di abolire gli esami di maturità: ma come è possibile? La scuola ha bisogno anche di impegno, fatica, sacrificio. Noi poi lo vediamo nelle comunità con la difficoltà a reperire gli educatori. Non credo sia solo una questione di stipendi. Il fatto è che in una società come questa è più comodo parlare di profitto che di progetto: il primo ti consente di portare a casa qualcosa, il secondo invece “esige“".

Dovrebbe forse fare qualcosa di più la politica?

"Mah... Della politica non me ne frega niente. Il punto è che gli adulti devono tornare a fare gli adulti, essere esempi, non fare i bambini grandi. Le belle chiacchiere sono importanti ma bisogna anche fare, fare, fare. I grandi devono essere capaci di inventare il domani perché un ragazzo ha bisogno di sentire dentro sé una progettualità, un modello che lo spinga, invece che percepirsi solo come una vittima. Dovrebbero capirlo soprattutto i padri".

Il padre è una figura assente, ripete tra gli altri lo psicanalista Claudio Risé.

"Il problema vero è che non facciamo più le famiglie. Che famiglia sta nascendo?".

Lei che risposta si dà?

"Che è necessaria e urgente una bella riflessione. I lamenti di chi rimpiange la famiglia di ieri e oggi piagnucola, beh, non li voglio neppure sentire: alla fine diventa una scusa per non fare niente. Fin quando rimarrò in vita non lascerò spazio alla nostalgia ma alla progettualità. Dobbiamo piantare semi di vita".