
Don Alberto Ravagnani
Milano – “Prete, youtuber e molto altro". Così si presenta sui social don Alberto Ravagnani, che tra tutte le piattaforme ha conquistato mezzo milione di follower. Trent’anni, originario di Brugherio, in Brianza, è sacerdote da 6 e durante il lockdown ha continuato a parlare ai “suoi“ ragazzi portando avanti la propria missione di giovane sacerdote attraverso internet. A poco a poco la sua platea è cresciuta ed è diventato popolarissimo. Da settembre è a Milano – prima era a Busto Arsizio –, vicario parrocchiale della chiesa di San Gottardo al Corso affacciata sul Naviglio Grande, e collabora con la Pastorale giovanile della Diocesi.
Com’è stato l’impatto con la metropoli?
"Mi sono trovato in una realtà molto diversa da quella cui ero abituato. Prima di tutto la grande città, poi la zona dei Navigli che è un luogo di passaggio: lungo l’alzaia camminano persone sempre diverse e mi sembra di essere in un film. Io però sono qui per la gente. Per la comunità, per i ragazzi. Nella zona ci sono tanti studenti fuorisede. E io stesso divido la casa con studenti. Chi vive qui spesso si ritrova senza punti di riferimento, sempre di corsa, alla conquista di qualcosa. Ecco: Milano offre tutto. Ma se mancano gli affetti e le relazioni autentiche, che non si possono comprare, non si sarà mai felici. Ciò che ci tiene in vita è l’amore".
Un concetto che è anche il cuore del suo nuovo libro, “Dopo la festa” (Rizzoli). L’ispirazione arriva da Milano?
"Sì. Dalla storia di un ragazzo, che ricalca quella di molti altri. Un giovane trasferitosi a Milano da una piccola provincia con il sogno di fare musica e che nella metropoli si iscrive anche all’università. La città è piena di stimoli nuovi, di tentazioni, di “flash“ che non hanno tempo di sedimentare perché ne arrivano sempre di nuovi. Il ragazzo riuscirà a non perdere il filo di se stesso e dei suoi sogni, a capire che “nessuno si salva da solo“? Il protagonista del romanzo si chiama Francesco. Colui che è stato l’ispirazione, il 19enne Andrea Occhipinti, in arte “Occhi” suonerà domenica alle 19.30 (stasera, ndr) in corso Luigi Manusardi, sempre in zona Navigli, dove presenterò il mio libro".
Come riesce ad avvicinare i giovani alla chiesa?
"Io penso che l’essere autentici ripaghi sempre. Un messaggio si può trasmettere con qualsiasi mezzo, anche attraverso i social. Ma il mezzo funziona solo se ci si mostra per come si è. Io vedo i social come un luogo in cui anche la chiesa può dire la sua e generare relazioni. E le relazioni sono ponti tra le persone nella realtà. Anche nella Milano “di corsa“ sto cercando di costruirle: dallo scorso ottobre invito i giovani all’Adorazione eucaristica ogni giovedì. Poi si cena e si trascorre la serata insieme, in un salone della parrocchia. Abbiamo iniziato con un gruppo sparuto e abbiamo terminato (prima della pausa estiva) con la chiesa piena. E i ragazzi arrivano da più quartieri. Su Instagram ho anche fondato la comunità @fraternitá_ft (con quasi 63mila follower) in modo che i giovani di uno stesso luogo possano conoscersi attraverso i social e promuovere buone pratiche, unendo le forze. Io penso che, per conquistare gli adolescenti, la chiesa debba proporre delle alternative e saper parlare il loro linguaggio. Ogni argomento si può trattare, anche la religione, anche concetti profondi, mettendo sempre davanti l’interlocutore".
Ha provato a lanciare il suo messaggio anche “dentro” la movida?
"Non mi sono ancora approcciato agli avventori dei locali, è un “pubblico” che cambia sempre e io penso sia importante soprattutto coltivare le relazioni che a poco a poco si stanno generando in questa comunità".
Quando e perché ha deciso di diventare sacerdote?
"Io mi sono “convertito” a 17 anni, tra la quarta e la quinta superiore. Non ho avuto dubbi e ho compiuto questo passo coraggioso entrando in seminario. Io ho capito che Dio può parlare anche attraverso me. In qualunque luogo, virtuale e non".