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Milano, la denuncia: detenuto malato terminale piantonato fino alla fine

Ritardi nella Tac e nelle pratiche fra carcere e giudici, la rabbia dell'avvocato

Il Guardasigilli Alfonso Bonafede

Milano, 31 luglio 2019 - Il suo avvocato aveva chiesto di farlo morire da uomo libero, senza un piantone fuori dalla porta del reparto. L’ultima volta l’ha fatto cinque giorni fa, con un una lettera alla Corte d’Appello di Milano, appreso che la fine per il suo assistito era vicina. Ma lunedì - quando è arrivato il parere favorevole della procura generale - era ormai troppo tardi. L’uomo, con un tumore ai polmoni allo stadio finale che si era esteso anche alle ossa, è morto in un letto di rianimazione dell’ospedale San Paolo ancora da detenuto.

A denunciare la vicenda di Giorgio C., in una lettera inviata tra gli altri al ministro della giustizia Alfonso Bonafede, al capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, e al garante dei detenuti della Lombardia, è stato il suo avvocato, Francesca Brocchi, precisando che l’uomo, un bergamasco di 58 anni con una condanna a 5 anni e 8 mesi in primo grado per rapina, «non aveva nessuno, eccetto il suo difensore». Nella lettera il legale chiede «di approfondire se vi siano state violazioni dei suoi diritti di detenuto e di malato, anche a causa del ritardo nella diagnosi» e «nel ritardo/omissione delle comunicazioni all’Autorità Giudiziaria competente e al difensore» da parte del carcere di Opera dove era in cella dallo scorso novembre. Il provveditore Regionale avrebbe aperto un’indagine interna.

L’«odissea» dell’uomo è cominciata nell’aprile 2018, con l’arresto: fino a novembre sta a San Vittore, poi viene trasferito a Opera. Un mese dopo comincia la strana tosse, e in pochi mesi arriva il primo collasso del polmone: ad aprile Giorgio viene ricoverato d’urgenza al Fatebenefratelli e è chiaro dalle analisi che nei suoi polmoni ci sono cellule cancerose. Gli accertamenti, ovvero una Pet-Tac, dovrebbero essere eseguiti subito, ma per un disguido passa un mese, che l’uomo trascorre in carcere. La cartella clinica arriva il 27 maggio, dopo le insistenti richieste dell’avvocato. L’avvocato scrive alla Corte d’Appello chiedendo la sostituzione della misura cautelare con l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Ma i giudici prima di decidere hanno bisogno di una cartella clinica aggiornata, che sollecitano al carcere di Opera. Da qui in poi il pantano burocratico, fino a lunedì. Quando è arrivato il parere positivo della procura generale, ma era già troppo tardi.