REDAZIONE MILANO

"È vero, è detenuto per errore" ammessa la colpa nessuno lo libera

Da 72 giorni a San Vittore: non c’è giudice “competente” sul suo caso di Marinella Rossi

TRIBUNALE Giovane in attesa di un giudice che lo rilasci

Milano, 12 ottobre 2015 - Vittima due volte. Delle sviste amministrative e della burocrazia giudiziaria. Prima, rispedito in galera per un «disguido», per un errore. E poi, nessuno che, ora verificata la carenza segnalata correttamente dalla questura ma che riguarda anche il tribunale delle direttissime, si assuma il carico e l’incarico di tirarlo fuori. Il giudice che lo ha condannato e ha commutato la pena in obbligo di firma, un pubblico ministero dell’ufficio esecuzioni, un giudice di sorveglianza? Nessuno. In un ginepraio di «non luogo a provvedere», trasmissione di atti alla Procura, carenza di competenze, Diallo A., 28enne della Guinea e piccolo spacciatore, è risucchiato in una zona grigia del diritto. E resta in galera, vittima e zimbello, qui a rappresentare meglio di ogni altro il detto: gli uomini sono tutti uguali davanti alla legge, ma alcuni sono più uguali degli altri. Lui lo è meno.

Ieri alle 12 Diallo era ancora, e dopo 72 giorni indebiti, a San Vittore; non era stato firmato alcun ordine di scarcerazione dall’autorità giudiziaria a favore del ragazzo che in carcere è stato rispedito il 30 luglio, per il «disguido», così definito dalla stessa questura, tra la nota correttamente inviata dal commissariato di Porta Genova - dove Diallo regolarmente firmava tre volte alla settimana ottemperando alle prescrizioni del giudice - e chi non l’aveva recepita e memorizzata: la Divisione anticrimine e il tribunale delle direttissime.

Il difensore che dai primi di ottobre ha preso in carico la disavventura del giovane, l’avvocato Antonio Nebuloni, si è rivolto - con la nota di chiarimenti della questura - al giudice Micaela Curami, che l’1 luglio ha ammesso Diallo al patteggiamento a un anno di reclusione per piccolo spaccio e ha commutato la pena in obbligo di firma tri-settimanale: la quale però ha risposto con un «non luogo a provvedere» da parte sua, in quanto il patteggiamento è nel frattempo divenuto definitivo e ha quindi trasmesso gli atti alla Procura. Che, però - pm competente dell’ufficio esecuzioni Adriana Blasco - potrebbe trovarsi nell’effettiva impossibilità di azione, in quanto il giovane a cui si dovrebbe concedere la sospensione dell’esecuzione della pena, è, paradossalmente, non in libertà (stato in cui si provvede con la sospensione, proprio per evitare un inutile passaggio in carcere), ma in galera. E il giudice del tribunale di sorveglianza, Marina Corti, a sua volta non sarebbe ancora entrata nella fase di competenza, perché la sentenza definiva non è ancora a disposizione, e solo dopo quella il difensore può proporre istanza di misure alternative.

di Marinella Rossi

In-giustizia secondo l’abusato Kafka? L’avvocato di Diallo, Nebuloni, prefigura amari scenari: «Probabilmente in un altro Paese il giudice sarebbe andato personalmente in carcere a provvedere e a chiedere personalmente scusa al detenuto per l’errore». Ma Kafka direbbe che forse no, non sarebbe così nemmeno altrove.

marinella.rossi@ilgiorno.net