Il cammino della gioia, una maratona al giorno per due mesi

Dopo una forte crisi, a 60 anni appena compiuti Daniele Ragozza parte a piedi da casa e percorre 2.600 chilometri in sessanta giorni verso Santiago

Daniele in cammino

Daniele in cammino

MIlano, 10 gennaio 2018 - La vita vera, diceva Thoreau, poeta canadese del cammino, è quando siamo svegli nei sogni. E questa storia ne sembra giusto l’icona, un sogno a occhi aperti, lungo due mesi e 2.400 chilometri a piedi. Una maratona al giorno. Protagonista, Daniele Ragozza, professore di ginnastica a Verbania, evergreen dai lunghi capelli bianchi. Tutto comincia un anno e mezzo fa, il 17 maggio 2016, quando Daniele compie 60 anni e, nel pieno di una crisi esistenziale, decide di partire da casa verso Santiago de Compostela.

Nello zaino da 15 chili, scarpe di riserva, sacco a pelo, giacca antipioggia, bastoncini, borraccia, ricambio e poco altro. Un addio sentimentale da lasciare sotto lo zerbino e molta voglia di sentirsi quel ragazzo selvaggio, creativo e stupefacente che era stato. Quando da ragazzo, in Val d’Ossola, promuovendo la pallavolo nel piccolo campo in asfalto dell’asilo insieme a una religiosa (suor Agostina), portò la squadra femminile di Premosello, 1.500 abitanti, a vincere nel 1986 il campionato provinciale, con promozione in serie D piemontese. Le basi per la vittoria nel campionato regionale della stagione 2000/2001 nella categoria allievi femminile. Pazzesco, dissero ovunque. Ma Daniele era tanto altro. Portava i ragazzi, cinquanta per volta, a fare escursioni a piedi in montagna, come una sorta di pifferaio di Hamelin. Insomma, a metà 2016 Daniele parte. Scende verso Torino, poi piega a ovest in direzione del piccolo Moncenisio e del Puy en Velai, verso il centro della Francia. Cercando di dormire il più possibile all’aperto, mangiare l’indispensabile e contenere le spese in una media di 20 euro al giorno, vitto e alloggio compresi. Dietro, c’è una spinta forte: la voglia di cambiare, lasciarsi contaminare dalla natura e dagli incontri, dal ciclo della luce e dalle danze delle costellazioni, da tutto ciò che il solo aprirsi, ascoltare e osservare può produrre nell’anima, una sorta di empatia permanente con il creato. Il tutto senza cerimonie: d’istinto, insomma, un uomo come tanti si ritrova convinto pellegrino.

«Si era interrotta una bella relazione sentimentale dopo 6 anni – spiega - non vedevo l’ora di andare in pensione e invece avevo subìto un ennesimo rinvio. Ero afflitto da intensi mal di testa che passavano solo dopo 3 giorni prendendo farmaci sempre più forti ed ero preoccupato per il futuro dei miei figli, incerto». Nel viaggio tutto evapora. Gli incontri si susseguono, come in un romanzo di Chatwin, tra tenerezza, ironia, grande umanità. In molti invitano addirittura Daniele a usare la doccia, gli offrono la cena, il vino e un letto con lenzuola fresche di bucato. Ci sono anche i guai, le persone moleste, le fiacche ai piedi, lo sconforto. Piccole mosche nell’entusiasmo. E poi la natura, che cambia con il paesaggio e governa il passo, come le leggi del cosmo. Prima di dormire, la sera Daniele scrive il report della sua giornata, poi cerca una connessione wi-fi e lo spedisce su facebook.

«Sono un insegnante di educazione fisica, non troppo in forma. Faccio qualche passeggiata in montagna d’inverno e d’estate, con e senza sci, e sono appassionato di balli folk. Non ho mai scritto in vita mia e questo diario di viaggio è nato per caso, per dire ai miei figli e amici dov’ero e cosa mi stesse capitando». Tra una birra al tramonto, una vecchietta andata a trovare con qualche lacrima in ospedale, una giovane viandante straniera con cui macina chilometri per mano, feste di paese improvvisate e riflessioni sul grande mistero che è la vita, Daniele arriva in fondo. E mette tutto in un libro:Da Verbania a Santiago, 2.400 chilometri a piedi, dentro e fuori di me”, edizioni Puntolinea. La lezione? “Il viaggio mi ha fatto capire che i valori più grandi non sono materiali. La vita offre le cose più belle gratis. Sono a portata di mano, ma non ce ne accorgiamo”. Insomma, si nasce e si muore soli, certo. Però in mezzo, che traffico.

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