
Piero
Lotito
Scandalizzava Manzoni e pure il Papa. Aveva dodici nomi e un’immensa ricchezza. Rifiutò un matrimonio che non sentiva e scelse l’amore. Scriveva articoli, faceva l’editore e la rivoluzionaria, dava una dote alle spose povere, mandava a scuola i bambini dei contadini, inventò la funzione dell’assistenza infermieristica prima di Florence Nightingale. E quando non poteva attingere ai suoi beni, requisiti dagli austriaci, sapeva vivere lei stessa da povera. Era questo e molto altro, Cristina Trivulzio, uno dei personaggi più fragorosi nel nostro Risorgimento. Oggi la ritroviamo raffigurata nella prima statua milanese dedicata a una donna, da poco scoperta nella piazza e di fronte al palazzo che prendono nome dalla dinastia del marito: Belgioioso.
Cercheremo qui di illustrare le elencate virtù evitando una nota strettamente biografica, che richiederebbe ben altro spazio per una vita così densa come quella di Maria Cristina Beatrice Teresa Barbara Leopolda Clotilde Melchiora Camilla Giulia Margherita Laura Trivulzio, nata il 28 giugno 1808 da Gerolamo e Vittoria Gherardini nel palazzo nobiliare di piazza Sant’Alessandro. Nata dunque ricchissima da una famiglia nota fin dal X secolo, Cristina a 4 anni perde il padre e a 16 rifiuta di sposare un cugino imbelle, scegliendo (vivamente sconsigliata) il principe Emilio Barbiano di Belgioioso, bel giovane sifilitico che ce la mette tutta a fare il libertino. Il matrimonio durerà poco, ma i due rimarranno per sempre, come si dice, buoni amici.
Il temperamento è vibrante, portato all’anticonformismo e all’insofferenza per le ingiustizie. Cristina legherà molto con la sua maestra di disegno, Ernesta Bisi, che la introdurrà a fine anni ’20 nei movimenti carbonari. Tenuta d’occhio dalla polizia, scappa prima in Svizzera poi in Francia, dove conosce lo storico Augustin Thierry. In patria, intanto, il capo della polizia, Carlo Giusto Torresani, che la perseguiterà fino all’Unità d’Italia, ottiene il sequestro dei suoi beni. Ma lei non si perde d’animo, per la prima volta si prepara il pasto da sola e guadagna qualche soldo ricamando e dipingendo ritratti a personaggi illustri. Le verrà poi in soccorso la madre, da tempo risposata e con quattro altri figli con i quali l’esiliata ha un buon rapporto. La Francia è il luogo giusto: Cristina prende in affitto un appartamento e vi apre un salotto politico-letterario. Diviene amica di Liszt, Heinrich Heine, Alfred de Musset, La Fayette, e fa uscire fogli patriottici, parla della causa italiana ai francesi, aiuta i nostri fuoriusciti, finanzia insurrezioni mazziniane. Tutti l’ammirano, la corteggiano. Avrà in questo periodo una bimba, Maria. Figlia di chi, non si saprà mai.
Fra tanto viaggiare e tanto successo, Cristina ripensa al suo luogo del cuore, Locate, piccolo centro nelle vicinanze di Pavia dove possiede grandi proprietà. Qui trova una situazione disperata: povertà, arretratezza. Una miseria che la spaventa. Si confida con Niccolò Tommaseo, descrive le condizioni in cui versano i bambini abbandonati e le famiglie spezzate dalle malattie. E si rimbocca le maniche: crea asili, scuole, fa costruire uno scaldatoio per centinaia di persone, allestisce una mensa per distribuire pasti caldi. Si fa pagare ma pochissimo, vuole insegnare che il pane va guadagnato. Regala medicine e vestiti, aiuta le spose più povere. Alessandro Manzoni, a conoscenza di tutto questo, si lascia andare a una domanda non degna di lui: "Quando saranno tutti dotti, a chi toccherà coltivare la terra?". Manzoni, appunto. A inizio estate 1841, la madre dello scrittore, Giulia Beccaria, è moribonda nella casa di via Morone. Tra le due donne c’è grande amicizia, Cristina corre a Milano per vederla. Ma Don Lisander ordina di non farla entrare. La lascia sull’uscio. Perché mai? Come un bigotto (o da bigotto), giudica immorale che la Belgioioso abbia avuto una figlia illegittima. Curiosa cosa, visto che lui è nato dal rapporto extraconiugale di Giulia con Giovanni Verri.
Ma quelli sono per Cristina anni di studio e di impegno politico: il suo sogno è unitario e monarchico. Fonda la rivista Ausonio, scambia idee con Cesare Balbo, Cavour, lo stesso Tommaseo. Trovandosi a Roma, manca però le Cinque Giornate. Organizza comunque in fretta un piccolo esercito di 200 uomini e rientra a Milano. Ma qui è già tutto finito. Dal febbraio al luglio 1849 è in prima fila a difendere la Repubblica Romana. Mazzini le ha assegnato il compito di organizzare gli ospedali, e lei mette insieme un corpo di infermiere volontarie ante litteram: signore borghesi, dame aristocratiche, ma anche prostitute (questa volta lo scandalizzato sarà il Papa, Pio IX, al quale Cristina ribatterà con una lettera a difesa delle "sfacciate meretrici").
Alla sconfitta della Repubblica Romana, s’imbarca con la figlia per Costantinopoli, in Turchia, dove con denaro preso a prestito acquista una proprietà e impianta un’azienda agricola per i profughi italiani. Intanto assiste i poveri del posto come a Locate, e si procura da vivere scrivendo articoli e racconti sulle sue esperienze. Tira avanti così per cinque anni, sfugge ferita alle pugnalate d’un inserviente, e quando nel 1855 un’amnistia le restituisce il suo patrimonio, torna in Italia e ottiene il permesso di rientrare nell’amata Locate.
Nel 1858 muore il marito, sconfitto dalla sifilide (l’aveva trasmessa. Nel 1860 si sposa la figlia Maria. Soprattutto, nel 1861 si compie l’unità d’Italia, e lei può lasciare la politica e i suoi ardori. Si ritira tra Milano, Locate e il lago di Como insieme col fedele servo turco Budoz e la governante inglese Miss Parker. Muore il 5 luglio 1871 in via dei Bossi a Milano e viene sepolta a Locate. Parleranno di lei ancora per un po’ e verrà dimenticata per 150 anni. Nel settembre 2021 le dedicheranno una statua in bronzo che la vede rivolta verso il Palazzo Belgioioso di famiglia. Alla sua sinistra, la casa con decorazioni in cotto dove Manzoni non volle farla entrare. La stessa casa dove "vive il genio - lascerà scritto la principessa -, ma il cuore è spento".