MONICA GUERCI
Cronaca

Covid, il racconto: "La mia salvezza con 'l’orco' in testa"

Stefano Carli, 64 anni di Arese, racconta il ricovero a Garbagnate per il Covid e come ne è uscito

Stefano Carli con i sanitari

Garbagnate Milanese (Milano), 11 novembre 2020 - Dal campo di golf , all’inferno del Covid. La malattia l’ha raccontata da dentro il casco per l’ossigeno, "l’orco", come l’ha chiamato Stefano Carli, 64 anni, dirigente di multinazionali in pensione dal 2019, colpito dal virus. Sono trascorsi 28 giorni dalla prima linea di febbre, di cui 17 passati in ospedale. Ieri è tornato a casa ad Arese, con 8 chili in meno sulle ossa e la vita ben stretta nelle mani.

"Sono cambiato, in meglio", dice Carli che ha pensato di condividere la sua esperienza da malato di coronavirus, per spiegare quanto sia subdolo questo male e come si è salvato. Dal suo diario d’ospedale: "La mattina del 13 ottobre era bella e soleggiata. Ero contento della partita a golf del giorno prima, mi alzai però con un po’ di tosse, un po’ di febbre". Poi la dissenteria, la perdita di appetito. Il 15 ottobre: "Faccio il tampone", è positivo. Antibiotico, eparina e cortisone, la febbre cala e lui spera. Il 20 ottobre: "Mi sbagliavo, il saturimetro scende in picchiata, ma niente febbre, un po’ di tosse".

Due giorni dopo la situazione precipita, il medico di famiglia lo visita: polmonite. Il 24 ottobre: Pronto soccorso di Garbagnate Milanese. "Erano le 20.30, arrivai al buio, da solo e aspettai nel triage Covid per 5 ore. All’1 di notte fui visitato da un bravo medico che eseguì subito una Emogas e l’Rx al torace". La notte su una barella "in uno stanzone affollatissimo con una cannula di ossigeno nel naso". Il giorno dopo la situazione è grave. Il 25 ottobre: "Mi portano nella Shock Area e mi presentano “l’orco”. Lo indossi, non puoi girarti o sdraiarti, ti assale un immediato senso di claustrofobia appena te lo sigillano intorno la testa. Insieme a un rumore assordante parte la pompa che spinge l’ossigeno giù giù nei polmoni. Il respiro va a mille e cominci a sudare, gli occhi ti bruciano, la gola si secca, chiedi aiuto mentre intorno a te c’è l’inferno, chi urla per i dolori, chi ti muore accanto".

Tre giorni passano così: senza mangiare, con la schiena piegata a 90 gradi sulla stessa brandina. Le braccia nere dai prelievi (l’Emogas arterioso non è una passeggiata). Il pappagallo per urinare, la maglietta sudicia. "Di notte con “l’orco” non riesci a dormire, ti appisoli per sfinimento e ti risvegli in un incubo". Il 29 ottobre: i valori migliorano, le ore con "l’orco" si alternano a quelle con la mascherina d’ossigeno. Il 31 lo trasferiscono in pneumologia. "Mi peso, ero 82 chilogrammi ora sono 74. Cos’ho capito? Ogni giorno perso in un atteso e improbabile miglioramento ti fa sprofondare nelle sabbie mobili della polmonite. Prima riesci a farti ricoverare, prima ti salvi".