Morti per Covid in Italia: Valle d'Aosta prima in Europa, Lombardia terza

Anche Friuli ed Emilia nella triste top ten europea. Con la pandemia danni economici per altri dieci anni nelle casse delle regioni

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In quale regione europea si muore di più per Covid? La risposta è sorprendente: la Valle d'Aosta. Qui indatti si registra il tasso più elevato di decessi ogni 100mila abitanti (377) dall'inizio della pandemia fino al 1 giugno 2021. L'Italia - e questo non è una sorpresa - occupa le prime posizioni di questa infausta classifica: terza è la Lombardia (335), quinto il Friuli-Venezia Giulia (314) e settima l'Emilia-Romagna (295). È quanto emerge dal nuovo barometro del Comitato delle Regioni Ue  pubblicato in occasione della Settimana europea delle città e delle regioni. «Dobbiamo renderci conto che regioni e città devono diventare gli eroi nella gestione di crisi come questa», ha osservato il presidente del Comitato, Apostolos Tzitzikostas.

 

L'impatto della pandemia

L'impatto della pandemia potrebbe aumentare le differenze già esistenti fra le regioni in Europa e le italiane sono fra quelle che rischiano di subire gli effetti negativi maggiori sia sul breve termine che sul medio termine (nei prossimi 10 anni). Anche questo emerge nel barometro del Comitato delle Regioni Ue. Sul nostro territorio a salvarsi sul breve periodo potrebbe essere soltanto il Friuli-Venezia Giulia che, a cospetto di un'Italia tutta in rosso per le conseguenze della pandemia, resterebbe in arancione insieme all'Austria e a molte altre regioni del Nord Europa. «La pandemia avrà degli effetti a lungo termine sulle strutture socio-economiche delle regioni europee», si legge nell'analisi, in cui si spiega che sul medio termine (fino a 10 anni) l'impatto delle restrizioni diminuirà in maniera significativa e «il fatto che le conseguenze possano farsi sentire ancora a lungo dipende dalle caratteristiche strutturali di un'area e dalla velocità della ripresa dei settori più colpiti».

I settori

Tra gli elementi considerati per stimare i rischi di breve e lungo termine dei diversi territori vi sono il turismo, l'occupazione nel settore alberghiero, dell'accoglienza e della cultura, il numero di Neet (giovani che non studiano e non cercano lavoro) con bassi livelli di educazione e un alto rischio di povertà, e la qualità dei governi. La crisi, spiega il Comitato, ha avuto un impatto devastante sull'occupazione e sulla dimensione sociale, colpendo in particolar modo i giovani e i lavoratori poco qualificati. Anche le persone che già vivevano in condizioni precarie, le persone con disabilità e le persone anziane hanno visto peggiorare il loro tenore di vita. La pandemia ha poi ulteriormente evidenziato problemi di lunga data come le disuguaglianze di genere e i rischi professionali legati al genere

I numeri

A quanto ammonta il danno all'economia delle regioni dovuta alla pandemia? Si tratterebbe di un buco da 22,8 miliardi nelle casse degli enti locali italiani. L'impronta lasciata nel 2020 dalla pandemia sulle amministrazioni locali del nostro Paese - emerge dal rapporto - è pesante: strette tra le maggiori spese da sostenere per far fronte all'emergenza e le mancate entrate dovute alla crisi, la perdita registrata è in termini assoluta la più alta d'Europa dopo la Germania, dove Laender e città hanno segnato un rosso di quasi 112 miliardi. A livello europeo, il cosiddetto 'effetto forbicè per gli enti locali vale 180 miliardi di euro, pari alla somma delle maggiori spese dovute alla pandemia (125 miliardi) e delle mancate entrate (55 miliardi). Tutto questo, ha avvertito il presidente del Comitato, Apostolos Tzitzikostas, «potrebbe portare a tagliare i servizi pubblici, a meno che non arrivino urgentemente più risorse da fondi Ue e nazionali per sostenere progetti e programmi locali». Un allarme che riguarderebbe tutta l'Unione. Se le casse delle amministrazioni italiane, che rischiano un buco di 23 miliardi di euro, hanno perso circa il 9% delle entrate, in termini relativi le perdite maggiori si sono registrate a Cipro (25%), Bulgaria e Germania (15%). Mentre le più basse in Romania, Danimarca, Grecia, Ungheria ed Estonia (non oltre il 2%)

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